La Procura di Locri insiste su Domenico Lucano, il sindaco sospeso di Riace, e ne chiede il rinvio a giudizio. Processo che la procura chiede per “Mimmo il curdo”, così è soprannominato l’ex sindaco, e altre 29 persone che fino a qualche mese fa lavoravano al funzionamento del modello Riace. Le ipotesi accusatorie partono da un’ispezione della prefettura di Reggio Calabria nel luglio 2016 che ipotizzava presunte irregolarità nella gestione del sistema Sprar e che sfociò in una denuncia alle Fiamme Gialle nel dicembre dello stesso anno.
A settembre dello scorso anno, la procura chiese l’arresto di Lucano; le presunte irregolarità nella gestione dei fondi destinati all’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo erano state completamente bocciate dal gip Domenico Di Croce, che nell’ordinanza del 2 ottobre eliminò tutte le contestazioni più gravi fra cui malversazione, truffa ai danni dello Stato e concussione. A Riace, si leggeva nel provvedimento, nonostante una gestione assai disordinata della rendicontazione dei fondi, i servizi sono stati sempre erogati, nessuno ha messo in tasca un centesimo e non ci sono stati illeciti. Per il giudice le sole accuse suffragate da prove riguardavano i presunti matrimoni di comodo, secondo la procura organizzati per far ottenere documenti validi ad alcuni stranieri, e l’affidamento in via diretta dei lavori di raccolta e trasporto rifiuti a due cooperative di Riace, che in paese impiegavano italiani e stranieri.
L’ordinanza del gip portò esclusivamente agli arresti domiciliari, durati per due settimane. Il provvedimento cautelare fu infatti revocato dal tribunale del riesame, che lo trasformò in un meno restrittivo divieto di dimora. Il ricorso di Lucano in Cassazione ha portato alla decisione dell’annullamento con rinvio, ovvero una mezza vittoria, ma con il rimpallo al gip per una nuova decisione.
Un percorso giudiziario, sia pur sui soli provvedimenti cautelari, di cui la procura non ha tenuto conto, insistendo nel contestare a Lucano di essere il capo di un’associazione a delinquere creata per distrarre i fondi destinati all’accoglienza. Per il procuratore di Locri il sistema Riace, divenuto negli anni un modello, costituirebbe in realtà un’associazione a delinquere, che avrebbe commesso ogni genere di illecito. Accuse sempre respinte non solo dall’ex sindaco, ma anche da chi negli anni ha trovato a Riace casa, accoglienza, solidarietà, lavoro e dignità.
La procura insiste su due accuse. La prima, favoreggiamento all’immigrazione clandestina, ha come base un’intercettazione telefonica, finita agli atti della procura, in cui Lucano afferma di poter regolarizzare una donna a cui per tre volte è stato negato l’asilo per mezzo di un matrimonio con un abitante di Riace. Matrimonio definito dagli inquirenti “di comodo”.
La seconda accusa, il fraudolento affidamento diretto della raccolta rifiuti, sarebbe nata a partire dalle indagini su due cooperative sociali, la Ecoriace e L’Aquilone, a cui il primo cittadino di Riace avrebbe affidato la raccolta pubblica dei rifiuti senza indire una gara d’appalto e senza che le due cooperative fossero iscritte nell’albo regionale. Raccolta rifiuti che negli stretti vicoli del paesino di Riace avveniva anche a mezzo di asini, a causa dell’oggettiva impossibilità per gli automezzi di accedervi e di manovrare.