Nel proliferare delle indagini, dei commenti e delle reazioni attorno all’attentato dello scuolabus del 20 marzo, una voce si leva dal coro dei diretti protagonisti risvegliando l’opinione nazionale.

È quella di Guglielmo che, scappando dal finestrino dell’autobus, ha gridato “Ti amo, ti amo!”. Si pensava fosse una dichiarazione d’amore in extremis, come è capitato ad alcuni dei suoi compagni di avventura nel timore che stesse per accadere il peggio. Invece, Guglielmo ha rivelato che la sua voce esprimeva una preghiera, come si comprende meglio riascoltando l’audio: “Dio, ti amo! Dio, ti amo!”.



Guglielmo confessa di non essere mai stato un gran credente. “Sul pullman eravamo tutti disperati e anch’io ho voluto fare la mia preghiera. Ho chiesto di salvarci perché eravamo tutti ragazzi innocenti, non avevamo fatto nulla di male a nessuno. Quando siamo riusciti a salvarci mi è sembrato che si fosse avverata e quindi ho voluto ringraziare Dio: Dio ti amo”.



Sull’orlo dell’imminente disgrazia, la voce di questo giovane e grande uomo, come le dichiarazioni di amore dei suoi compagni, aprono uno squarcio di luce sul profumo di nulla che sembra circondare questa terribile vicenda.

“Il nichilista è un uomo che non s’inchina dinanzi a nessuna autorità, che non presta fede a nessun principio, da qualsiasi rispetto tale principio sia circondato” dice Nikolaj Petrovic in Padri e Figli di Turgenev. Le controverse eppur decise “ragioni” dell’autista, come delle innumerevoli interpretazioni del suo gesto e i pronunciamenti sul futuro dei giovani protagonisti hanno questo inquietante sapore di nulla: non inchinarsi davanti a nessuno, ma per affermare chi? Identificare contro chi scagliarsi, ma verso dove andare?



Questi ragazzini hanno ben altro da dire. L’istante prima che tutto possa finire non hanno la preoccupazione di andare contro, ma di rivelare, di urlare il nome di chi è riuscito ad accendere il loro cuore. Ci ricordano che la vita c’è, è positiva, è fatta per amare prima che per odiare, per domandare prima che per pretendere, per ringraziare prima che per lamentarsi.

Queste evidenze elementari oggi sembrano essere crollate, date in pasto al nichilismo psicologico di cui parlava Nietzsche dove il mondo “sembra privo di valore”. Invece, questi giovani amici ci ricordano che quanto più la vita si fa seria, quanto più la minaccia della morte si avvicina, quanto più ogni vita, per il fatto stesso che c’è, è vissuta, tanto più essa afferma un significato per cui val la pena che sia spesa: si risveglia il bisogno di amare, si rianima il cuore del giovane e già tiepido credente, si riprende a sperare nel miracolo.

Di fronte a questo inno alla positività della vita dei nostri giovani eroi si riapre la speranza anche per noi adulti, talvolta scettici e preoccupati ossessivamente del futuro dei ragazzi, dei loro traumi psicologici, della loro cittadinanza e delle loro possibilità lavorative. Forse queste nostre preoccupazioni presaghe di funesti futuri, di distruzioni e devastazioni imminenti, hanno perso quel contatto con la vita che loro ci hanno testimoniato. Come scriveva Ignazio Silone: “Parenti sacerdoti autorità mi si sono rivelati bruscamente meschine creature impaurite, con l’anima totalmente invasa dalla sola permanente ossessione del quieto vivere”. Invece, chi come loro si è fatto i conti con la morte, vuole vivere, ama, prega e ringrazia un Dio che anche frequenta poco.

Il nichilismo impaurito, dalle ragioni affilate come le unghie di un gatto in posizione di difesa, vede inevitabilmente nell’altro che nemici da cui difendersi, nella dimenticanza di ciò per cui valga la pena vivere. Chi è obbligato ad attaccarsi alla vita, da ragioni e regioni diversissime, si trova gomito a gomito col proprio compagno di avventura, lieta o triste che sia, come dichiara con candore Guglielmo alla domanda della giornalista su quale dio avesse pregato, se quello dei cristiani o dei musulmani: “Tutte le religioni lo vedono in modo diverso, ma in fondo è uno solo”. È più violento questo monoteismo assoluto del giovane tiepido credente o il nichilismo impaurito degli adulti di oriente e di occidente?

Le grida di Guglielmo e dei suoi compagni sono il presente da cui ripartire per riguadagnare il contatto con la nostra vita e riguardare la nostra società con un minimo di tenerezza e di affezione per sé e per i nostri fratelli.