«Io non sono un killer, ero solo un uomo animato da un movente ideologico»; così Cesare Battisti si è difeso in carcere davanti al Pm di Milano Alberto Nobili dopo aver ammesso, per la prima volta dopo la latitanza, di essere responsabile dei 4 omicidi di cui è stato condannato alla pena dell’ergastolo. Non solo, ha spiegato ancora nello stesso interrogatorio «Voglio precisare che lei mi ha parlato di freddezza – si legge nel documento oggi riportato con ampi stralci da Repubblica – che sembrerebbe che io abbia manifestato nei casi in cui ho sparato. In merito, intendo evidenziare che io non sono un killer ma sono stato una persona che ha creduto in quell’epoca nelle cose che abbiamo fatto e quindi la mia determinazione era data da un movente ideologico e non da un temperamento feroce, quando credi in una cosa, sei deciso e determinato. A ripensarci oggi provo una sensazione di disagio ma all’epoca era così». Quante volte abbiamo sentito la (falsa) litania della legittima “motivazione” dietro le stragi anche più barbare? Quel «ho ucciso, ma..»: a cominciare dalle indegne “comparazioni” tra genocidi dove ancora una certa cultura dominante sinistrorsa tende a considerare assai meno “importante” i Gulag sovietici rispetto ai campi di concentramento nazisti, per giungere fino alle giustificazioni date dai vari gruppi terroristici sparsi in tutto il mondo. C’è sempre qualcuno che si sente più legittimato di altri ad uccidere e – quel che peggio – c’è sempre qualcuno pronto a proteggere e “giustificare” quelle assurde teorie autoassolventi.
L’IDEOLOGIA E IL “GIUSTO” MOVENTE
Cesare Battisti non è che l’ultimo a provare una ricostruzione (la chiameremmo forse mistificazione) della realtà dietro i suoi crimini: «guerra giusta» l’ha chiamata davanti ai pm, chiedendo scusa alle vittime ma ribadendo di aver agito per un motivo ideologico. Come se uccidere – in qualsiasi modo avvenga – sia qualcosa che possa essere in “graduatoria” a seconda delle motivazioni: come ben scrive oggi sul Corriere della Sera Pierluigi Battista, «l’Italia è piena di petizioni di intellettuali che hanno firmato appelli insolenti e grotteschi smentiti dalle sue stesse dichiarazioni. Adesso si vergogneranno almeno un po’?». Sembra di ritornare indietro negli anni Settanta-Ottanta, quando ad esempio un gruppo terroristico come le Brigate Rosse, venivano “giustificate” nei loro atti-attentati perché sorretti dai motivi di “rivalsa sociale”, “guerra proletaria” e ogni qual altra spiegazione addotta dai convinti seguaci. Come un lampo, ci ritorna in mente una delle testimonianze che il cantante, autore e scrittore Enrico Ruggeri ha sempre raccontato ripensando a quei giorni terribili che seguirono l’omicidio del Commissario di Polizia Luigi Calabresi: «Ero al liceo, in una delle mille assemblee che si facevano in quegli anni. All’improvviso entrarono dei “compagni” che urlarono alla platea che finalmente era stato giustiziato il Commissario Calabresi. Tutta la palestra esplose in un applauso. Mai come in quel momento fui felice ed orgoglioso di non essere di sinistra». Per alcuni, le morti non sono tutte uguali e qualcuno ha “diritto” più di altri di essere ucciso: ecco quel “movente ideologico” ci sembra un costante ed indegno insulto alla memoria di chi davvero ci ha rimesso la vita per un lucido e criminale progetto di “guerra santa”, qualunque essa sia. Un costante insulto che arriva ad “uccidere” per una seconda volta tutte quelle vittime innocenti.