Novità sulla morte della giovane Sana Cheema, la cittadina italiana di 24 anni uccisa in Pakistan – suo paese di origine – nell’aprile di un anno fa. Il procuratore generale di Brescia, Pierluigi Maria Dell’Osso ha fatto sapere oggi che il ministro della Giustizia Bonafede “ha autorizzato nuove indagini italiane sulla morte” della ragazza. Da Roma è già stata firmata la procedibilità. Dopo le indagini che erano state svolte in Pakistan e che avevano portato di recente all’assoluzione “per mancanza di prove” di tutti gli imputati dell’omicidio di Sana, tra cui il padre, il fratello, la madre e uno zio della giovane bresciana, ora l’Italia vuole fare luce su quanto accaduto realmente un anno fa e spazzare via ogni dubbio sulle eventuali responsabilità della sua famiglia. Dopo la loro assoluzione, tutti gli imputati erano stati rilasciati in libertà. Sana, come rammenta Corriere.it, era stata uccisa in patria dopo essersi rifiutata di accettare un matrimonio combinato con un parente, il giorno prima di rientrare in Italia, esattamente a Brescia, dove viveva nel quartiere Fiumicello.



OMICIDIO SANA CHEEMA: PER SUA MORTE IN PAKISTAN TUTTI ASSOLTI

“Sono stati acquisiti tutti gli atti processuali e tutti gli atti di polizia in merito alla morte di Sana Cheema e le autorità pakistane sono state disponibili”, ha spiegato il procuratore bresciano che ha avocato l’inchiesta sulla morte in Pakistan della 24enne. A riferire le sue parole è Giornale di Brescia nell’edizione online, che aggiunge: “Non c’è uno specifico ruolo della madre nell’omicidio ma c’è la consapevolezza di quanto deciso dalla famiglia sulle sorti di Sana”. Nel corso delle indagini in Pakistan sulla morte della ragazza italiana non mancarono gli ostacoli e gli errori: “Il padre e il fratello hanno confessato il delitto spiegando di aver utilizzato un turbante, per assassinare Sana. Le dichiarazioni sono state acquisite dalla Polizia ma per avere piena valenza giuridica sarebbero dovute essere verbalizzate anche dal magistrato, ma non è stato fatto”, ha aggiunto Dell’Osso. Per il giudice pakistano, “non c’erano prove e testimoni” e per questo gli 11 imputati furono tutti assolti.

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