Quando siamo piccoli ci insegnano a mettere in ordine la stanza. Dietro quella semplice indicazione ci sta un mondo: mettere in ordine vuol dire riconoscere che ogni cosa ha un posto, il suo posto. L’ordine, in natura come nella società, esiste ed è qualcosa da custodire, tutelare, tramandare. Eppure nella realtà non c’è solo ordine: l’esperienza del disordine, delle cose che sono come non dovrebbero essere, è una delle più comuni per gli esseri umani.



Il fatto è che spesso al disordine siamo soliti dare il nome di ingiustizia. È giusto che ogni persona abbia un papà e una mamma, ma non sempre succede, è giusto che si viva fino a ottanta o novant’anni in buona salute, ma non sempre succede, è giusto che tutti possano camminare, ma non sempre succede. È spontaneo, quando queste cose non si verificano, cercare un colpevole: la società, la natura, Dio, il potere dei più forti. Interi movimenti e associazioni hanno fatto della “denuncia dei cattivi” la loro ragione sociale. Il disordine è sempre un’ingiustizia e l’ingiustizia ha sempre un cattivo che la genera. In Italia ci sono intere trasmissioni televisive che vivono su questo assioma: se fate caso alle Iene, storica trasmissione Mediaset, troverete in ogni servizio una coda o una riconferma di questo ragionamento.



Ma anche alle Iene, a volte, succede qualcosa che non torna: è la storia di Alice, disabile che non può camminare – vittima di un’ingiustizia della natura – ma che, volendo, potrebbe farlo.

Basterebbe un esoscheletro, insieme di tecnologia e ingegno che rende possibile l’impossibile. Ma anche qui ecco l’ingiustizia: l’esoscheletro non è per tutti, costa 150mila euro, e la famiglia di Alice – per colpa del nostro cattivo sistema sociale – non può permetterselo. È qui che arriva il miracolo: un donatore generoso che sana l’ingiustizia e rimette le cose a posto, dando ad Alice il sospirato esoscheletro.



Solo che Alice, dal lungo servizio trasmesso in tv, non è cresciuta in questa mentalità: per lei la vita è un positivo, camminare un sogno, e mostra di sapere che ogni cosa – anche il disordine – non nasconde un’ingiustizia, ma una promessa. Quando vede l’esoscheletro si commuove e si domanda che cosa possa aver fatto di bene per meritarsi un dono così grande. In Alice non c’è risentimento, rivalsa, rivincita, ma solo la storia di una scoperta, di un bene che incarta il meccanismo della trasmissione perché non cerca cattivi, ma solo la gioia di esserci.

Ed è questo che commuove della storia di Alice: il fatto di aver imparato, laddove tutti vorrebbero rabbia e vendetta, che a volte rimettere in ordine la stanza non significa mettere le cose nel modo in cui gli altri pensano. Bensì trovare ad ogni cosa un luogo che abbia valore e senso per sé. Senza trasformare il desiderio del cuore in una pretesa senza fine. Senza illudersi che, anche con la stanza più ordinata, i problemi dell’esistenza siano risolti. Perché il problema di una stanza in subbuglio non è nel cattivo che l’ha scombinata. Ma nel cuore che si rimette all’opera. E le ridà valore. Le restituisce, molto semplicemente, la dignità di una dimora.