Questo pomeriggio a La Vita in Diretta è stata ospite Stefania Leonardi, la vedova del Carabiniere Emanuele Lucentini, ucciso da un suo collega, Emanuele Armeni che per quella vicenda è stato condannato a 18 anni di carcere. Intervistata da Tiberio Timperi, la donna ha raccontato la figura del marito e di come fosse benvoluto dall’intera comunità, spiegando che nonostante la sentenza la soddisfi e sia anche arrivata in un tempo relativamente breve certo non le potrà ridare il suo Emanuele. Nel corso della sua ospitata nel programma pomeridiano di Rai 1, la vedova ha anche raccontato del tragico giorno dell’incidente e pure della circostanza che anni prima li aveva fatti conoscere: inoltre ha ricordato come il marito non parlasse con lei praticamente a casa dei suoi problemi e di ciò che la turbava, ma in relazione a questo ha raccontato pure degli ultimi tre mesi di vita di Lucentini. Il movente della morte del marito ancora oggi non è chiaro ma forse non è stato ancora bene messo in luce il rapporto della vittima col su collega: “Nei tre mesi antecedenti all’accaduto mio marito era sempre nervoso, tornava a casa spogliandosi e lanciando la cintura sul tavolo: ha cominciato a lamentarsi del suo collega, anche se sopportava sempre, diceva che era uno strafottente e che andava a 200 km/h” ha raccontato, alludendo anche al fatto che forse avrebbe preferito cambiare collega. (agg. di R. G. Flore)
LA VEDOVA, “NESSUN RISARCIMENTO”
Le hanno ucciso il marito, ma non ha ottenuto alcun risarcimento. Dopo quattro anni di martirio parla la vedova del carabiniere Emanuele Lucentini, perché lo strazio non è ancora finito. «A intervalli regolari siamo stati risucchiati dalla corrente della burocrazia legale con tutto ciò che ne consegue a livello emotivo ed economico, senza ricevere alcun risarcimento», ha dichiarato nei giorni scorsi la vedova Stefania Leonardi a La Nazione. Le motivazioni della Cassazione hanno messo la parola fine sulla vicenda giudiziaria confermando la “volontarietà del gesto criminale” di Emanuele Armeni, l’ex appuntato scelto condannato 18 anni di carcere. Il delitto avvenne il 16 maggio 2015 all’interno della caserma dei carabinieri di Foligno. I due militari dell’Arma erano appena rientrati dal turno in pattuglia di notte. Armeni sparò con un M12 alla testa il collega, che morì poco dopo in ospedale. Subito si ipotizzò un evento accidentale, ma la procura di Spoleto iscrisse Armeni nel registro degli indagati per omicidio volontario.
EMANUELE LUCENTINI, CARABINIERE UCCISO DA COLLEGA
Una consulenza balistica escluse l’ipotesi del colpo accidentale e del malfunzionamento del mitragliatore. «Il caso era chiaro fin dall’inizio. Ci sono voluti quattro anni e migliaia di euro spesi per arrivare a definire una vicenda che da subito si era chiara: Emanuele Armeni ha ucciso, Emanuele Armeni voleva uccidere», racconta Stefania Leonardi a La Nazione. Per la vedova il killer poteva essere fermato prima. Durante i processi è emersa «l’inclinazione dell’appuntato a puntare le armi per gioco contro i colleghi». Lo hanno scritto i giudici, secondo cui l’omicidio di Emanuele Lucentini è stato volontario. Un delitto di «estrema gravità» anche perché commesso «da un’appartenente all’Arma dei carabinieri in danno di un collega». Questa valutazione ha portato anche all’esclusione delle attenuanti generiche. La famiglia comunque non ha ottenuto nessun risarcimento da Emanuele Armeni. Il giudice aveva liquidato provvisionali subito esecutive di circa 500mila euro, ma l’assassino è nullatenente. «Oltre al dolore e alla grande fatica per reimpostare la vita, ho subito anche l’umiliazione di sentirmi usata dai miei legali, non trovando nemmeno il supporto di fiducia, tutela e umanità che in questi casi è fondamentale». Ora Stefania e la famiglia Lucentini si sono affidati agli avvocati Giovanni Ranalli e Francesco Leti per provare a ottenere un risarcimento.