Eleonora è una bambina di 11 anni nata cieca e tetraplegica nel 2008 a seguito di un grave danno neurologico. L’Ausl di Rovigo, le due ginecologhe Dina Paola Cisotto e Cristina Dibello e due compagnie assicurative, sono state condannate per gravissime lesioni in primo grado a risarcire la famiglia della piccola, il padre Davide Gavazzeni e la madre Benedetta Carminati, con un assegno da 4 milioni e 693 mila euro. La famiglia di Eleonora sembrava finalmente aver ottenuto giustizia dopo dieci anni di lotte, peccato però che la stessa Ausl di Rovigo abbia fatto ricorso in appello, bloccando il tutto. Il caso è stato trattato quest’oggi presso il programma Storie Italiane di Rai, dove erano presenti l’avvocato della famiglia, e il direttore dell’Ausl. «L’usl ha fatto appello – le parole del legale che assiste la famiglia di Eleonora – ma ha fatto appello per motivi che non hanno ragion d’essere. Non era necessario ricorrere all’appello – sostiene l’avvocato rivolgendosi al direttore dell’Asl – avrebbe potuto rinunciare tranquillamente all’appello, andando avanti a parte contro l’assicurazione».
ELEONORA NATA CIECA E TETRAPLEGICA: L’AUSL NON VUOLE PAGARE
«E’ una cosa indecorosa – prosegue il legale che pretende giustizia – è stata riconosciuta la responsabilità dell’azienda sanitaria e nonostante questo è stato fatto appello contro persone che hanno ragione conclamata, cosa che non ha motivo di esistere». Così si difende l’Ausl di Rovigo: «Abbiamo fatto appello affinché venga mantenuto l’obbligo dell’assicurazione di versare quanto dovuto, ed anche perché non pensiamo che vi sia stato un ritardo nell’organizzazione della sala operatoria dopo il parto, come invece sostiene la sentenza in primo grado». Il direttore dell’Ausl sostiene che i soldi di cui sopra, i famosi 4 milioni e 693mila euro di cui sopra, sarebbero a disposizione della famiglia: «Abbiamo il diritto di ricorrere in appello – spiega – non c’è alcuna intenzione di “voler indietro” i soldi dati alla famiglia, intendiamo solamente far rivedere o confermare la prima sentenza. I soldi sono a disposizione, per utilizzarli la famiglia ha bisogno dell’autorizzazione del giudice». La vicenda è tutt’altro che chiusa