Il dilemma sembra essere sempre quello: libertarismo contro repressione. Eppure c’è un problema di cui nessuno tiene conto: “I ragazzi cercano la droga, vogliono la droga, e il modo con cui la trovano, che sia lo Stato o uno spacciatore a dargliela, non cambia nulla, è un falso problema” dice Silvio Cattarina, fondatore e responsabile della Comunità educativa per tossicodipendenti “L’Imprevisto” a Pesaro. Un episodio di questi ultimi giorni – un marocchino ubriaco e sotto l’effetto degli stupefacenti, già fermato per possesso di chili di droga, ha sterminato una famiglia a Porto Recanati schiantandosi contro la vettura che trasportava i genitori e i loro due figli, uccidendo i primi e mandando in gravi condizioni in ospedale i secondi – ha suscitato la reazione di Matteo Salvini: “Mi domando che cosa devi fare in Italia per rimanere in galera. Il tossico che ha investito il papà e la mamma di Recanati era coinvolto in un reato per 225 chili di droga e questo stronzo era a spasso. Non è possibile”, ha commentato il ministro degli Interni, presentando un decreto legge in cui, abolendo il concetto di modica quantità, le pene detentive per chi spaccia passerebbero da un minimo di tre anni a un massimo di sei, mentre per chi guida sotto effetti di stupefacenti ci sarebbe la confisca obbligatoria del veicolo e la revoca definitiva della patente. Il problema è che è sempre difficile capire quando la droga è davvero per uso personale e quando diventa spaccio.



Con la proposta di legge di Salvini viene nuovamente sollevata la problematica della cosiddetta modica quantità, della differenza tra consumatore e spacciatore. Che cosa ne pensa?

Qualcosa di buono in questa proposta di legge credo ci sia, nel senso che qualcosa bisogna fare, tentare. Il fenomeno è sfuggito di mano da troppo tempo, è una questione drammatica in cui stiamo perdendo intere generazioni di giovani. Sempre più ragazzi fanno ricorso a sostanze stupefacenti, in un abbandono delle loro vite. E’ una questione grave, bisogna pensare qualcosa.



Ma esiste una differenza tra consumatore e spacciatore? Un ragazzo con in tasca 5 o 6 canne potrà dire che sono per suo uso personale, ma anche rivenderle ad amici. Come se ne esce?

Io non credo molto a questa polemica del dividere tra spacciatore e consumatore. A livello basso, tra i giovani, chi consuma è spacciatore. Un conto è se parliamo delle reti internazionali criminali che organizzano lo spaccio, ma fra i giovani chi consuma è anche spacciatore.

Fermare un ragazzino e metterlo in galera è la strada giusta? Una volta in carcere, non rischia di essere risucchiato in giri criminali ancora più grandi?



Forse è vero, però bisogna trovare un modo per fermarli. Il problema della droga è come fermare i consumatori. Quando cominci a consumare queste sostanze, scatta un’assuefazione a continuare, è il fenomeno della dipendenza, che ti porta necessariamente a entrare in certi giri. Bisogna trovare un modo, almeno provvisorio, per fermarli. Altrimenti si lascia tutto alle famiglie, ai genitori che li chiudono a casa con la forza, sperando che prima o poi passi questa esigenza di dover ricorrere alle sostanze stupefacenti. Ma nella maggior parte dei casi ne nascono poi tragedie di vario tipo.

Dietro a queste polemiche sembra, in realtà, riemergere lo scontro tra chi vuole liberalizzare e chi vuole proibire. E’ davvero così?

La via giusta è l’educazione, ma tra repressione e liberalizzazione sono più d’accordo con la repressione. Il vero problema non è se si fanno meno danni con la liberalizzazione,  il vero problema è che i giovani cercano la droga, il vero problema è il bisogno di ricorrere alla droga, la domanda di droga. Non cambia nulla se a offrirtela è lo Stato o uno spacciatore. Il vero problema è che il giovane sta cercando di morire, non tanto come io ti procuro la morte.

Non è auspicabile coinvolgere gli operatori del settore quando si pensa a una nuova legge sulla droga?

Non succede. Un tempo si tenevano grandi conferenze aperte a tutti, ma poi si finiva per scontrarsi per il pregiudizio ideologico che c’è intorno a questo mondo. Certo, chi deve elaborare le leggi dovrebbe sentire chi è direttamente impegnato sul campo.

E offrire, al posto del carcere, l’ingresso in una comunità terapeutica? Non è meglio mandarlo in comunità invece che in galera?

In realtà non esiste nessun livello di obbligatorietà di cura, neanche una minima obbligatorietà. Invece ci dovrebbe essere. Quando fermi qualcuno, gli dovresti dire: adesso ti sottoponi a un percorso. Invece, a causa di questo falso senso della libertà, una simile alternativa non è neppure concepibile. Si dice che debba essere la persona a decidere se e quando curarsi, ma è un modo pilatesco per lavarsene le mani.

(Paolo Vites)