Lo sperone Mummery sul Nanga Parbat è un dito di roccia puntato dritto al cielo: guardarlo è come ammattire, sentirsi sovrastare, rimpicciolirsi, ingigantirsi. “E’ solo un pezzo di roccia!” dice la gente giù a valle. “E’ un sogno da batticuore” professa Daniele Nardi (mi ostino a usare il tempo presente). Di professione scala le montagne: è uno di quelli che quando scala dà le spalle a tutto il resto. Dando alle montagne del tu: niente affatto il pronome della villaneria, è pronome di vicinanza, cortesia e intimità.



Per chi sale verso l’alto, scalare è come prendere il punto di domanda e gettarlo in su, per poi riacciuffarlo: riavutolo in mano, è come se la vita si fosse ingrandita in qualche punto, svelando un pertugio attraverso il quale ficcarsi per scrivere qualcosa di bello. Per stupirsi.

Lo stupore è istigazione alla scoperta, una sorta d’insonnia per chi ne viene affetto. Andare-in-alto è andare a scuola di parola, educarsi alla sintassi del silenzio: “A valle, nelle città, le parole sono aria viziata, escono dalla bocca straparlate, non portano conseguenze” (E. De Luca).



Da dieci giorni Daniele e Tom abitano il/nel silenzio della montagna: dispersi, morti, travolti. Oppure nascosti, semivivi, in agguato. Tutto è possibile per chi crede. E credere, in certi attimi, è linguaggio ecumenico per eccellenza.

Fin lassù, perché? “Era ossessionato da quello sperone di roccia” stanno sostenendo in tanti, piedi nelle babbucce. Usano esattamente quella parola, la parola ossessione: termine psicologico, connotato patologico, sfumatura grigia. Ossessione è quando qualcosa non vuol lasciare la tua mente, il sospetto che la tua idea espressa non sia mai abbastanza, un’incompiutezza insaziabile. Un’ossessione violenta è anche il marchio della creatività, una cura permanente all’incedere della noia. Alcuni pensieri sono troppo infuriati in noi, non vogliono sentir ragione di prendere sonno: stanno svegli la notte e diventano ossessioni.



Ecco allora che lo sperone Mummery – passione per l’alpinismo a parte – è uno sperone che parla a tutti noi, è una storia che ci affratella: dentro ciascuno di noi svetta quella roccia, quel quasi-impossibile, l’intrigo che ci toglie di dosso, la notte, il sonno. La voglia di battersi per un qualcosa che sia un pezzo unico: “Ci sono salite difficili, altre ambiziose, poi ci sono quelle storiche, che lasciano il segno. Questa è una di quelle” dice di quello sperone Simone Moro, un altro di quelli che danno del tu a quei ciclopi di pietra.

E’ ossessionato, Daniele? Probabilmente sì, come Alessandro è ossessionato di Marta nonostante tutti gli dicano “Non è la donna per te”. Come Margherita, valigia in spalla e via, in terra straniera perché ossessionata dal sogno di fare la ricercatrice spaziale. Come Luigi che, orecchie tappate, non ne vuole sapere di non riuscire a fare dei suoi studi il lavoro di un’intera vita. Colombo era ossessionato da quella navigazione ignota: scoprì l’America, nonostante il rischio di naufragio fosse folle, ai limiti dell’impossibile.

E’ ossessionato Daniele, né più né meno di quanto sono io un po’ ossessionato dai miei chiodi fissi: la vita è un’ossessione irrazionale. E al richiamo della vita si può rispondere solo con la finezza della poesia, del creare. Scrive Alda Merini: “Mi nacque un’ossessione. E l’ossessione diventò poesia”.

Scalare è fatica operaia: l’eleganza di uno scalatore è proporzionale alla capacità di risparmio-energie. Per insistere o arrestarsi si necessita della stessa dose di pazzia: si è sempre a un tiro di sasso dalla resa, anche dall’insistenza. Non c’è un indice di pericolo valido per tutti: la gloria, come il rischio, è un abito di sartoria confezionato su misura. Non è vero che le montagne disprezzano chi osa sfidarle: “Le grandi montagne hanno il valore degli uomini che le salgono, altrimenti non sarebbero altro che un cumulo di sassi” (W. Bonatti).

E’ per questo che in tanti ci siamo scoperti affascinati dalla vicenda di Daniele e Tom: perché, attendendoli, è come se stessimo di fronte a un sarto, tutt’intento a prendere le misure per l’abito. Intenti a capire quanto siamo disposti a pagare per un sogno.