Siamo sulla strada della perfezione. Ormai non avremo più in classe alunni persi, svogliati, distratti. Il toccasana è arrivato. Un ribaltamento dei programmi scolastici? Una rivoluzione nella didattica? Un nuovo contratto per gli insegnanti, che premi i migliori e penalizzi i peggiori? Macché: troppo complesso, aleatorio. La soluzione è più semplice, economica, infallibile: una fascia che registra le onde cerebrali degli studenti e avvisa in tempo reale gli insegnanti se qualcuno si sta perdendo via. L’hanno inventata in America, una startup hi-tech patrocinata da Harvard; ma i primi ad adottarla sono stati i cinesi, una scuola elementare sperimentale, e pare che già 20mila fasce siano state prenotate.
Mi sembra una notizia straordinaria. La tecnologia sta facendo il miracolo di riuscire dove hanno fallito millenni di tentativi di insegnanti e studiosi dell’educazione: impedire agli studenti di perdersi dietro ai loro pensieri, alle nuvole fuori dalle finestre, alle mosche che ronzano per la classe, ai giornaletti sotto il banco… D’ora in avanti, basta distrazioni: un pensiero fuori posto, e zàcchete: la lucina sul tabellone elettronico si accende, il reprobo viene immediatamente smascherato. E, s’intende, fermamente redarguito.
I sognatori dicono che no, la lucina non serve per incastrare il povero alunno, serve all’insegnante per monitorare l’efficacia della loro lezione, li avverte che è ora di cambiare registro, di dare un guizzo, di passare a un’altra attività…
Riflessione semiseria.
Caso A: poveri ragazzi. Nel senso che appena si distraggono fiocca una nota, un richiamo, una punizione (è l’esperienza che ho della maggior parte degli insegnanti che ho conosciuto: le mie lezioni sono perfette, la colpa è sempre degli studenti che non sono interessati).
Caso B: poveri insegnanti. Perché davvero la fascia diventa un indicatore dell’efficacia del loro lavoro, e gli studenti si divertono a distrarsi apposta per metterli in crisi, sbeffeggiarli, sfidarli (come hanno sempre fatto da che mondo è mondo).
Riflessione un po’ più seria. La fascia è il segnale di un trend globale: la tecnologia sta entrando sempre più in simbiosi con la biologia, settori sempre più ampi della vita umana che sono sempre stati considerati campo della libertà, della creatività, dell’imprevedibilità, passano sempre più sotto il controllo di sofisticati algoritmi, che comprendono le situazioni meglio degli umani e dettano strategie più adeguate di loro (un bel resoconto di questa tendenza si può leggere 21 lezioni per il XXI secolo di Yuval Harari, documentata rassegna di quel che ci attende). E qui mi torna in mente – e faccio mio – il celebre aneddoto di Churchill, che a non so chi che gli magnificava i progressi delle scienze sociali, grazie a i quali si sarebbe arrivati a controllare completamente i comportamenti delle persone e a evitare conflitti come la Seconda guerra mondiale, rispose: “Grazie a Dio, per quell’epoca sarò già morto”.
Però non è detto la tecno-umanità debba vincere per forza. Come antidoto, suggerisco un paio di letture.
Una è Lasciateli giocare di Peter Gray: guardate che se i bimbi e i ragazzi crescono con spazi di libertà in cui giocarsi, crescono meglio in tutti i sensi: non solo sono più felici, ma anche più intelligenti, più svegli da ogni punto di vista, più bravi anche a risolvere i problemi della società complessa, meglio di quelli che crescono con la fascia cerebrale.
L’altro è il recentissimo Funzionare o esistere? di Miguel Benasayag, il filosofo-psicologo argentino che ci ha insegnato a difenderci dalle “passioni tristi” che la nostra società alimenta. L’alternativa è quella espressa dal titolo, ed è radicale (e la risposta è il criterio per giudicare tutte le fasce cerebrali che ci aspettano): lo scopo della vita è addestrarsi per svolgere al meglio il ruolo che il sistema economico-tecnologico ci assegna (con la fascia che ci impedisce di distrarci)? O c’è altro, che la rende degna di essere vissuta (e che magari può capitare mentre pensiamo ad altro che alla noiosissima lezione del prof che abbiamo davanti)?