È spesso difficile riuscire non fare confronti e paragoni con “casi simili”, eppure sarebbe sempre preferibile evitare il “facile giudizio” specie su temi così delicati come quello che riguardano la storia di Cristina Magrini: è morta ieri dopo 38 anni in coma vegetativo e subito la “mente” di molti finisce a parlare di Eluana Englaro, Dj Fabo e Piergiorgio Welby giusto per citare i “casi” più famosi. Posto che ognuno è prima di tutto persona, preferiamo parlare di un “caso” alla volta e concentrarci ora sulla vita e l’esistenza da battagliera di Cristina costretta in coma per un gravissimo incidente avvenuto il 28 novembre 1981 quando lei aveva solo 15 anni. Si è spenta mercoledì 10 aprile, all’età di 53 anni all’ospedale Maggiore di Bologna, dov’era ricoverata da alcuni giorni: la storia ha sempre fatto molto discutere per la continua battaglia che la famiglia di Cristina, in particolare papà Romano, hanno sempre dedicato in favore della vita, del diritto all’assistenza dando il via ad una associazione “Insieme per Cristina” che per molte famiglie che vivono la medesima situazione è un’autentico faro nel dramma che costringe una dimensione del genere. «Voglio ringraziare tutti i medici dell’ospedale Maggiore per le cure che hanno dato a mia figlia» è riuscito a dire papà Romano tra le lacrime dopo aver appreso che la “sua” Cristina era tornata in cielo, richiamata da quell’altro Padre.
MORTA DOPO 38 ANNI IN COMA: LA BATTAGLIA DEL PAPÀ
«Non l’ho vista morire, ma sapevo che non sarebbe tornata a casa. Cristina non mangiava più, si spegneva lentamente, un minuto dopo l’altro. Da un mese era all’ospedale. Alle due del pomeriggio l’assistente le ha fatto il bagno e le ha cambiato l’abito. È morta in ordine. Cosa provo? Era in coma dal 18 novembre 1981, 37 anni e 4 mesi fa, e per tutto quel tempo le sono stato accanto con un solo, piccolo desiderio: andarmene dopo di lei. L’ho realizzato a 86 anni, lei ne aveva 53», ha raccontato il papà di Cristina ai colleghi de La Nazione dopo aver esaudito anche un secondo desiderio, della figlia questa volta, ovvero quello di vedere il mare prima di abbandonare questo mondo. Accolta dalla comunità di amici, dalla Chiesa (ferventi cattolici i genitori Magrini), benedetta da Papa Giovanni Paolo II, dai Vescovi di Bologna Cafarra e Zuppi e dall’Arcivescovo emerito di Milano Angelo Scola: Cristina era soprattutto amata dalle tantissime famiglie che come lei hanno vissuto e vivono il dramma dello stato vegetativo. Mamma Franca era morta nel 1992, stroncata da un tumore ad appena 54 anni e così papà Romano Magrini assieme ai tanti amici della associazione si è preso cura di quella vita così fragile eppure così tremendamente “significativa” del mistero che è l’esistenza per ognuno di noi. Si è sempre rifiutato di prendere in considerazione l’opzione (fuori dall’Italia) dell’eutanasia, «Fino a quando le forze mi sosterranno preferisco stare dietro a Cristina piuttosto che portarle i fiori sulla tomba», ripete al Corriere della Sera lo stesso papà Romano.
IL MISTERO E LA “MICCIA”
Non che la domanda non l’abbia mai sfiorato, come ammette lo stesso genitore: «la mia storia è diventata il caso opposto rispetto a quello di chi ha lottato per l’eutanasia. Questo pensiero non mi ha dato pace per tutti questi anni. In vecchiaia è cresciuta la preoccupazione di andarmene prima di lei. Mi sono chiesto «Ho fatto bene a fare così? O l’ho solo fatta soffrire? E alla fine non lo so se ho fatto meglio, ma la verità è che non me la sentivo di ammazzarla, forse se mi avessero trovato un modo legale lo avrei anche fatto. La mia esperienza mi ha portato soprattutto a voler testimoniare come sono costrette a vivere le famiglie che hanno una persona in coma». Un dramma, il mistero, il timore di aver sbagliato tutto ma anche la consapevolezza che la testimonianza di vita di Cristina e dello stesso Romano hanno donato speranza e possibilità di incontri a tante persone nel corso dei 38 anni di coma: come scrivono alcuni amici di Cristina sul portale dell’associazione in occasione della Giornata Mondiale per la Vita, «A lei un sincero ringraziamento per aver incendiato la miccia che ha acceso tante fiammelle che hanno iniziato ad ardere in coloro che hanno partecipato ad alcune attività di servizio verso le persone fragili».