Stupisce sempre come le parole di Papa Benedetto siano utilizzate per alimentare una sterile contrapposizione con Papa Francesco. All’origine di questo processo non c’è una reale passione per la Verità, e quindi per la propria vita, bensì il desiderio che prevalga una verità che già so e che mi è comodo riaffermare per le conseguenze che essa produce nella Chiesa, nella comunità, nella società stessa. Viviamo in un tempo profondamente autoreferenziale per la Chiesa cattolica: essa si ritrova e converge per parlare di sé, per analizzarsi, per ristrutturarsi, mentre invece quello che questi due grandi uomini sottolineano è la forza della Presenza di Dio, l’unica cosa davvero degna del nostro sguardo.
Queste considerazioni risultano ancora più vere se si prende in esame quanto Benedetto ha voluto pubblicare in tema di pedofilia nella Chiesa, con un lungo articolo – che è un insieme di appunti – con il quale il Papa emerito cerca di offrire un proprio contributo alla consapevolezza e al compito che un avvenimento tragico, come quello della crisi della Chiesa infestata dal morbo della pedofilia, richiama. Senza avere la pretesa di essere esaustivi, si può delineare nello scritto di Benedetto un piccolo percorso fatto di alcuni precisi punti.
1. Negli ultimi cinquant’anni qualcosa ci è accaduto. A partire dal ’68 il movimento di secolarizzazione e di trasformazione dell’occidente ha subito un’accelerata che non ci ha portato ad essere più felici. Le cose nuove non hanno coinciso con le cose vere, con le cose belle, con le cose giuste, e l’uomo si è trovato a collassare proprio nella sua umanità. Siamo diventati meno uomini.
2. Dinnanzi a questo fatto, che Benedetto dettaglia con un armamentario culturale che meriterebbe molto tempo per essere adeguatamente decriptato, la reazione dell’uomo è stata quella di mettere in discussione la Chiesa. È come se ad un figlio ventenne succedessero certe cose, esito di certe sue scelte, e la risposta a quelle scelte fosse la messa in discussione della madre. Abbiamo scelto di dare la colpa a nostra madre per la nostra infelicità, per la nostra disumanità. Abbiamo quindi scelto di vivere senza madre, senza un grembo in cui diventare davvero grandi e vivi.
3. Nostra madre, la Chiesa, in tutto questo è rimasta spiazzata e – per poter riconquistare il bene del figlio – ha accettato di cambiare le carte in tavola, ha cercato di dirgli che non esiste più un bene o un male, ma che il giudizio sulle azioni dipende dal fine con cui esse sono poste in essere. Questo, evidentemente, non è stato il magistero della Chiesa ma il tentativo, da parte di molti dentro la Chiesa, di non perdere il figlio, di non far scappare il figlio. Invece di aiutarlo a fare un cammino, una strada, una parte della Chiesa ha deciso di assecondarlo, di andare a “comprare la droga con lui”, così da tenerlo in ogni modo accanto a sé, non accorgendosi di quanto questo portasse – al contrario – a perderlo davvero.
4. È come se in questo percorso di cambiamento, avvenuto dopo il ’68, e di conseguente infelicità l’uomo non avesse trovato nella Chiesa un interlocutore reale, bensì un attore confuso, incapace di riaffermare con semplicità che nella vita non esiste bene più grande che la fede, ossia il riconoscere di essere amati da un Altro. La pedofilia, sostiene Benedetto, si insinua nella Chiesa per alcune scelte umane cui la Chiesa non ha risposto con la Tradizione, con il tesoro della fede, ma ha risposto con un confuso inseguimento delle circostanze che ha fatto perdere alla Chiesa nel suo insieme quale fosse il vero bene.
5. Benedetto dunque si chiede: che fare? Da dove ripartire? Il punto di partenza non è una ristrutturazione della Chiesa, non è anzitutto un adeguamento giuridico e normativo dell’istituzione ecclesiastica, bensì il riscoprire il compito stesso della Chiesa, che è triplice: annunciare all’uomo che Dio c’è, che il grido del cuore ha un Mistero che lo ascolta, annunciare che questo Dio è venuto sulla terra e si è fatto uomo per restituire dignità all’essere uomini, e quindi forza e desiderio alla sua umanità, e – infine – costruire luoghi dove sia possibile sperimentare questo fatto, quest’incarnazione, costruire rapporti in cui sia nuovamente possibile fare esperienza di una Vita data per noi, data per me, viva per me.
Le parole di Ratzinger saranno interpretate, e lo sono già state in queste ore, in molti modi, ma il punto cui lui ci richiama, con il suo fare di padre indomito, è che nessuna strategia può sostituire il riconoscimento della Presenza di Cristo, che nessuna strategia può sostituire il bisogno di amore che abbiamo. Pensate in casa, pensate ai matrimoni, ai lutti, alle malattie, ai dolori, alle liti: niente può reggere se non una Presenza viva, una Presenza che diventa mia, in quanto mia amica, speranza che non delude. Dallo scandalo della pedofilia si esce seguendo Francesco, il volto di quella Presenza che indica con la sua disarmante forza non la strada di una guerra per riconquistare il mondo, ma la strada di un cammino per ritrovare se stessi. E battere Satana, colui che in fondo è nel mondo per dirci che noi non valiamo nulla, che Dio è un imbroglio, che tutto è disperazione. Mentre invece ciascuno sa che tutto non è altro che promessa, inizio inatteso di una nuova speranza. Anche questa crisi, anche questo tempo. Anche questa nostra piccola umanità.