A Porta Romana ieri mattina pioveva. Piovevano sei colpi di pistola sparati da due uomini in scooter con l’intento di uccidere l’autista di una Ford ferma al semaforo. Verso le otto, quando la città ricomincia la giornata, il traffico è intenso, i bambini vengono accompagnati a scuola, i negozianti hanno appena aperto i loro esercizi. Un agguato in stile mafioso rompe la consueta ripresa della vita quotidiana in un quartiere popoloso e abbastanza centrale di Milano.



Enzo Anghinelli, la vittima, ha 46 anni. Non è la prima volta che sfugge all’azione dei sicari: nel 1998, ancora incensurato, fu ferito gravemente in viale Forlanini da alcuni colpi sparati da una Vespa. I contorni della vicenda non vennero mai chiariti. Nel 2007 Anghinelli venne fermato dalla polizia in via Teodosio sulla sua Golf con due chili di cocaina e nel 2012 entrò a far parte dell’indagine su una vasta organizzazione che importava droga dal Sudamerica. Una vita pericolosa, passata dall’attività di barista a quella di trafficante. 



Siamo a Milano. Le sparatorie tra la gente di prima mattina qui non sono consuete, per fortuna. La droga invece si vede dappertutto, persino aspettando la 90 in piazza Argentina col favore del crepuscolo. Piccolo spaccio tra stranieri. E poi Rogoredo, di cui si fa un gran parlare da quando si è deciso di intervenire e risanare quel bosco dantesco quanto la selva oscura, e che continua a causare morti, prendendosi beffe degli intenti pubblici di bonifica. E poco distante da lì il quartiere multietnico del Corvetto, con le sue case popolari poco più che stamberghe, con le innumerevoli antenne paraboliche, con i suoi ragazzi sfaccendati e violenti; e più su l’Ortomercato, con la sua mala gestione, il lavoro nero e il caporalato.



Siamo dall’altra parte di una città che celebra la sua eccellenza con il Salone del Mobile, con le installazioni di architetti e designer. Tutto bello, tutto utile per il guadagno e per una migliore qualità della vita. Ma anche solo accostando questi due volti della città (ce ne sono altri in un luogo così ampio e complicato) viene da chiedersi, una volta di più, se la prevenzione non passi anche dal rendere dignitosa la vita dei più poveri e disagiati, dal promuovere condizioni di lavoro eque, anche se nessuno potrà mai togliere la fatica di guadagnarsi il pane. Viene da chiedersi se chi amministra la città sia mai entrato in uno qualsiasi dei quartierini di una casa popolare e si sia soffermato sullo squallore che quei muri nascondono.

Siamo tutti contenti del successo della grande Milano, ma la generosità della tradizione ambrosiana dovrebbe con coraggio tirarsi su le maniche per ovviare a quei bisogni e diritti che costituiscono le condizioni per una vita buona. Non ci sono solo gli scintillii e le bollicine.