Il 12 aprile 2019 il Tribunale di Venezia ha vietato a un bambino di avere due mamme, perché, come dicono il buon senso e una consolidata tradizione, per fare un bambino ci vogliono una mamma e un papà, come la natura stessa pretende. Di fatto, nellʼatto di nascita del bambino è stata indicata come genitore solo la donna che lo ha partorito, perché secondo i giudici “il decreto in vigore, la cosiddetta legge Cirinnà, non disciplina questo aspetto”. In effetti, nella prima bozza della legge sulle unioni civili si parlava anche di stepchild adoption, però, nella legge entrata in vigore, tra le modifiche apportate è stato stralciato l’articolo 5. Tutti sanno che lo stralcio si è reso necessario per ottenere il consenso alla legge da parte di numerosi parlamentari, per lo più afferenti all’area dei centristi cattolici e a quella dei catto-dem del Partito democratico. Senza questo stralcio la legge non sarebbe stata approvata.
Ma gli stessi giudici del Tribunale di Venezia, che hanno vietato al bambino di avere due mamme, hanno rimesso il giudizio alla Corte costituzionale, denunciando alcuni aspetti di incostituzionalità della legge Cirinnà, perché, paradossalmente, discriminerebbe i genitori gay.
Il caso è quello di una coppia di donne unita civilmente. Una di loro, due anni fa, si è sottoposta a fecondazione assistita con donatore anonimo in Danimarca. A novembre 2017, a Mestre, è nato un maschietto, ma il Comune di Venezia – lo riporta il Corriere del Veneto – nell’atto di nascita ha indicato il bambino come “nato dall’unione naturale con un uomo, non parente né affine” della partoriente e non ha indicato la compagna come genitore. Le due donne, a quel punto, si sono rivolte al Tribunale di Venezia perché venisse rettificato l’atto di nascita e venissero indicate entrambe come genitore del bambino. Come si è detto, i giudici hanno rimandato il quesito alla Corte costituzionale, sottolineando come i figli debbano godere della medesima tutela indipendentemente dalla forma del legame tra coloro che ne assumono la genitorialità, per garantire al minore la massima tutela che gli spetta.
Sta diventando ormai un’abitudine da parte dei tribunali rimandare alla Corte costituzionale le questioni che ribaltano radicalmente l’interpretazione della norma, così come il legislatore l’ha voluta e l’ha votata. Perché è assolutamente chiaro che la legge sulle unioni civili, se avesse contenuto il riferimento alla stepchild adoption, non sarebbe stata approvata, non sarebbe oggi legge e non tenterebbe di far rientrare dalla finestra ciò che è stato chiaramente tenuto fuori dalla porta. La legge sulle unioni civili è stata approvata, e basta riprendere l’intero dibattito parlamentare, perché il Parlamento ha accettato che si disciplinasse la relazione di coppia, il rapporto tra i due o tra le due, senza toccare l’asse genitoriale. Invece la sentenza dei giudici del Tribunale di Venezia sostiene che la legge attualmente in vigore pregiudichi i diritti inviolabili della persona, quali quello alla genitorialità e alla procreazione, e in questo modo discrimini i cittadini per il loro orientamento sessuale.
Certamente è la prima volta che il dubbio di incostituzionalità coinvolge la legge Cirinnà in relazione alla genitorialità omosessuale. Ma era un rischio ampiamente prevedibile, nonostante il compromesso raggiunto, data la bozza iniziale dei proponenti, e di fatto è stata l’argomentazione principale per cui molti di noi non hanno votato questa legge.
Contemporaneamente a Strasburgo nella Corte europea dei diritti umani i giudici sono stati chiamati a esprimere la propria opinione su un analogo caso francese; si sono pronunciati a favore del riconoscimento legale di questo legame, solo nel caso però in cui la donna sia stata indicata come “madre legale” nel certificato di nascita del Paese dove la gestazione ha avuto luogo. Non è una sentenza che gli Stati debbano per forza seguire, ma rappresenta un’opinione non vincolante, che esprime la posizione della Corte.
Nel caso francese si tratta di una coppia di coniugi che ha chiesto alla Francia di riconoscerli come genitori di due bambini nati con la gestazione portata avanti da un’altra donna in California. Lui è il padre biologico e lo Stato francese lo ha registrato come genitore nel certificato di nascita. Ma questo non è stato fatto per sua moglie, perché non ha legami biologici con i bambini. La Cassazione francese, che sta decidendo sul caso, ha chiesto alla Corte di Strasburgo se il mancato riconoscimento vada contro la Convenzione europea dei diritti umani. La Corte ha specificato che lo Stato non è obbligato a iscrivere la madre come genitore nell’atto di nascita, ma può scegliere altre soluzioni, come per esempio quella dell’adozione. La Corte di Strasburgo ha spiegato che il mancato riconoscimento legale del legame tra la madre intenzionale e il bambino potrebbe avere un impatto negativo sulla sua vita privata, perché la tutela del suo interesse richiederebbe l’identificazione legale delle persone responsabili per la sua crescita e il suo benessere.
In buona sostanza, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha espresso un’opinione, sottolineando come non sia vincolante, e ha affermato che nei casi di gestazione per “conto terzi” gli Stati devono riconoscere legalmente, in nome dell’interesse del bambino, il legame genitore-figlio con la madre intenzionale, ovvero quella non biologica.
Attenzione, non in quanto madre alla pari della madre o del padre biologico, ma in quanto figura che si prende cura del bambino e della sua educazione sotto il profilo legale, come precisa la sentenza stessa. I giudici della Cedu hanno riconosciuto tutta una serie di altre considerazioni che possono pesare sfavorevolmente su questo tipo di riconoscimento, ma hanno convenuto sul fatto che il miglior interesse del minore richiede anche l’identificazione legale delle persone responsabili della sua crescita e del suo benessere. È importante sottolineare come i giudici di Strasburgo si siano avvalsi per la prima volta dell’istituto dell’opinione non vincolante.
In conclusione: aspettiamo cosa dirà la Corte costituzionale italiana in merito alla vicenda del Tribunale di Venezia, senza dimenticare che non esiste per nessuno il diritto alla genitorialità, come non sussiste il corrispondente dovere. Non c’è il diritto ad avere un figlio, c’è però il dovere di garantire a ogni bambino il contesto più simile possibile a quello di una famiglia, in cui le responsabilità delle figure genitoriali, madre e padre, siano identificabili sotto il profilo legale, senza introdurre nessuna forzatura sul piano biologico.
La Cedu lascia ben chiaro che ciò che deve essere identificabile è la responsabilità legale del bambino, ma questo non consente di stravolgere ruoli e funzioni, a nessun livello.
Non credo che nessuna Corte costituzionale possa sancire il diritto a due padri o a due madri, capovolgendo l’ordine naturale delle cose.