Il giallo di Alessandro Pieri, classe 1916, conosciuto con l’appellativo di “Bisigato” per il suo passato da calciatore, ha inizio nel 1995. All’epoca aveva 78 anni e quel fatidico 19 gennaio stranamente non si presentò al negozio di accessori auto di fronte a Porta Portese, Roma, per pranzare con l’amico Salvatore. Un rito irrinunciabile che però destò subito molta preoccupazione e proprio il figlio allora 25enne, Max Grasso, ebbe l’arduo compito di scoprire cosa era successo. Lo spiega lui stesso a Corriere.it, nell’articolo di Fabrizio Peronaci nel quale ripercorre l’intero giallo: “Corsi in via Morosini 14 e ebbi un tuffo al cuore: la porta al primo piano era socchiusa. Entrai. Silenzio. Lo chiamai. Nessuna risposta. In salotto lo vidi: era steso sul divano. Morto. Notai il vassoio di paste. Mi precipitai a chiamare il nipote, che abitava nello stesso palazzo, e poco dopo scoppiò il casino, la polizia, i giornalisti, la convocazione in questura…”, ricorda. L’indagine sulla morte di Alessandro Pieri, inizialmente si concentrò sulla presenza di una falsa assistente sociale la quale sarebbe riuscita ad intrufolarsi nell’abitazione per poi versare il sonnifero nella bevanda dell’anziano. “Di certo non è stato un semplice malore, altrimenti moriva sul pianerottolo”, commenta oggi Max. Proprio la porta socchiusa rappresentò l’elemento a supporto della tesi che Bisigato, prima di morire, non fosse solo. A fargli compagnia sarebbe stata una donna: a conferma di ciò, alcuni mozziconi di sigarette con tracce di rossetto. Stessa traccia lasciata anche su uno dei bicchierini di liquore sul tavolo. Tra gli altri indizi, il fatto che la vittima avesse acquistato dei pasticcini nella migliore pasticceria della zona e l’assenza dell’anello d’oro con la testa di Nettuno che Bisigato così orgogliosamente portava al dito. Con esso sparì anche una banconota da 100 mila lire.
ALESSANDRO PIERI, LA SUA MORTE RESTA UN MISTERO
Per diverso tempo l’ipotesi che ad uccidere Alessandro Pieri fosse stata proprio una falsa assistente sociale andò avanti con grande solidità. A mancare però fu un mandato di arresto che non giunse mai. Max Grasso oggi ricorda: “La polizia si impegnò sul caso, non dico di no. Io venni convocato più volte in via San Vitale. Cercarono tracce in casa, ordinarono perizie, interrogarono i vicini. Ma poi, man mano, l’attenzione scemò…”. Dagli esami tossicologici però non trapelò alcuna sostanza sospetta e questo portò ad aprire la strada a nuove domande: Bisigato fu forse vittima di un semplice malore forse proprio durante un incontro con una signora che, successivamente, sarebbe stata colta dalla tentazione di portare via qualcosa? “Certo, lui un po’ femminaro lo era… Un invito a casa per pura galanteria ci poteva stare. Però, stranamente, a mio padre non aveva parlato di una nuova fiamma. Mah…”, sostiene Grasso. La procura decise in seguito di mollare la presa anche per via dell’assenza di prove certe e testimoni. La morte di Pieri, dunque, rappresenta uno dei cold case romani ancora irrisolti.