Si possono dire – si stanno dicendo, si diranno – tante cose, sull’assassinio di Vincenzo Di Gennaro, carabiniere, l’altro giorno a Cagnano Varano, in provincia di Foggia. Si può stigmatizzare, come ha giustamente fatto il procuratore di Foggia, “l’atteggiamento culturale che esprime un livello di avversione verso lo Stato” (ce l’hanno anche i miei studenti, bisogna sentire con che tono parlano degli “sbirri”, poi però quando dico che hanno ragione, che bisognerebbe eliminarli, così ognuno potrebbe rubare e ammazzare come vuole rimangono un po’ perplessi…). Si può cavalcare il comprensibile sdegno, e gridare che il colpevole deve andare in galera a lavorare e non a guardare la tv, come ha fatto un noto politico. Tante cose, si possono dire. Ma la parola definitiva l’ha già detta il padre di Vincenzo, Luigi: “Sono fiero di lui”. Meglio: “Il mio petto è gonfio d’orgoglio, perché mio figlio è morto sul campo”. Ha 84 anni, Luigi Di Gennaro. Ha chiesto al parroco del paese l’estrema unzione, perché teme che il suo cuore non regga a quest’ultima prova. Viene da un’altra epoca. Ma ha fatto in tempo a lasciarci una lezione: prima della recriminazione, prima della rabbia, della denuncia, viene un’altra cosa: il sentimento della dignità, del valore del compito che uno si è scelto. Che bello poter prendere congedo dalla vita così, dicendo “Sono fiero di mio figlio”…



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