Finora nell’istituto diretto da Cristina Cattaneo sono state eseguite circa 500 autopsie, molte per i casi giudiziari più controversi: Yara Gambirasio, Elisa Claps, Stefano Cucchi, David Rossi, Serena Mollicone e Bestie di Satana. L’ultima invece su Imane Fadil. «Voi giornalisti mi fate imbestialire con questa mania dei delitti celebri», sbotta la direttrice del Labanof, il Laboratorio di antropologia e odontologia forense, unico in Europa. Chiamatelo pure “regno dei morti”. «Qui s’incrociano i destini di criminali e santi», ha spiegato al Corriere della Sera la professoressa di Medicina legale alla Statale di Milano. Per Cristina Cattaneo tutti i morti meritano le stesse attenzioni. «Non esistono autopsie di serie A e autopsie di serie B». Ma se esistessero, lei preferirebbe le seconde, visto che ha trascorso tre mesi nella base Nato di Melilli per identificare una parte dei 1400 migranti affogati nel Mediterraneo il 3 ottobre 2013 e il 18 aprile 2015. «Il più grande disastro di massa dal dopoguerra a oggi». Dare un nome ai morti prima di seppellirli è per lei un dovere di civiltà e al tempo stesso un fatto di salute mentale. «I parenti hanno bisogno di piangere su una tomba per elaborare il lutto. Altrimenti impazziscono, com’è accaduto a molte madri degli oltre 8.000 musulmani bosniaci trucidati a Srebrenica».



CRISTINA CATTANEO, MEDICO LEGALE CASO YARA

Cristina Cattaneo ha l’incarico di identificare il ragazzino con la pagella che ha commosso papa Francesco e il presidente Mattarella, ma non ci è ancora riuscita. Ma al Corriere della Sera ricorda anche un 17enne con in tasca la tessera dei donatori di sangue o uno che aveva un rigonfiamento nel quale aveva nascosto un pugnetto della sua terra natia. Il Labanof comunque sul web mette le foto dei cadaveri ignoti, e per lei non è uno sfregio alla pietà, ma una necessità. Quando manca il volto, il biologo Davide Porta ricostruisce i lineamenti del viso dalla forma del cranio. Il patologo forense è una figura fondamentale per la giustizia e la salute pubblica, eppure sta rischiando di “sparire”. Nell’intervista ha parlato anche del caso di Yara Gambirasio: «Mi ha insegnato che le cose più importanti sono invisibili. A occhio nudo non mi sarei mai accorta della presenza di calce. Solo gli stub delle ferite, tamponi adesivi che noi chiamiamo scoccini, hanno permesso di trovarla al microscopio. Da allora li faccio a campione sulla pelle di ogni salma».



LE AUTOPSIE E IL CONTATTO COL MALE

Ma non è il caso più difficile che le è capitato. A proposito del Dna e il fatto che venga considerato una prova regina, Cristina Cattaneo ha spiegato: «Una prova forte. Che ci ha viziato un po’ tutti. È una scorciatoia che fa perdere di vista altri elementi importanti». Al Corriere della Sera, parlando del suo lavoro, e quindi di autopsie, ha anche svelato il loro lato peggiore: «La chiusura. Non sei mai sicuro di aver espletato tutti i prelievi utili». Non le capita mai di commuoversi nell’eseguirla, anche perché il momento più straziante è quello del riconoscimento da parte dei parenti del defunto. L’esame autoptico è comunque un contatto con il male per lei: «È logorante, sì, te ne accorgi dopo 15 anni di obitorio. Ma è controbilanciato dal bene che sta intorno ai morti: quello che hanno compiuto in vita». Infine, sul fatto che lei preferisce evitare i salotti televisivi in un momento nel quale la cronaca, soprattutto quella nera, attira molto, spiega: «Mi vengono i brividi quando in video gli esperti si accapigliano su presunte prove di casi che sono ancora aperti».

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