Entrerà nel vivo dopo l’estate il processo per il primo caso di Blue Whale in Italia. Una 23enne deve rispondere di atti persecutori e violenza privata aggravata. Secondo l’accusa, avrebbe costretto, con la complicità di un 16enne di origini russe, una ragazzina di scuola media, ora 14enne, a infliggersi tagli sul corpo e a inviarle le foto, come primo step delle 50 prove di coraggio. Oggi c’è stata la prima udienza: il giudice monocratico ha ammesso le prove testimoniali e documentali avanzate dal pm e dal difensore, tra cui anche l’interrogatorio dell’imputata. Inoltre, come riportato dall’Ansa, ha rinviato al prossimo 18 settembre per l’esame del padre della giovane vittima, che invece non dovrebbe essere convocata in tribunale per rendere la sua testimonianza. Dunque, con la convocazione del padre della ragazzina palermitana entrerà nel vivo il processo sul primo e unico caso accertato a Milano di Blue Whale, il gioco adolescenziale diventato virale sul web.



BLUE WHALE, AL VIA PROCESSO A MILANO

La vicenda è emersa in seguito a una inchiesta sul fenomeno della “Blue Whale” da parte di una giornalista che, fingendo di essere una minorenne pronta alla “sfida”, ha attivato un profilo social ed è entrata in contatto con un’alunna delle scuole medie di Palermo, che all’epoca aveva 12 anni, che aveva cominciato a giocare davvero con la giovane imputata. Da qui la denuncia della giornalista alle forze dell’ordine e l’avvio dell’indagine coordinata dal pm di Milano Cristian Barilli. Stando a quanto riportato da La Sicilia, la 23enne avrebbe contattato la vittima via Instagram e Facebook come “curatorlady”, sostenendo di essere uno dei “curatori” del gioco, quindi indicandole e imponendole i gesti da compiere, concordati con un complice. «Se sei pronta a diventare una balena, inciditi “yes” sulla gamba, se non lo sei tagliati molte volte per autopunirti», recita uno dei messaggi inviati alla ragazzina siciliana. Inoltre, avrebbe reiterato le sue minacce e la sua «capacità intimidatoria» avvisando la 12enne di conoscere il suo indirizzo IP di connessione, quindi il luogo da cui si connetteva. Di conseguenza, poteva «raggiungerla e di ucciderla qualora avesse interrotto la partecipazione alla “Blue Whale Challenge”».

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