Il fatto: un gruppo di muscolosi giovanottoni ha perpetrato una serie di aggressioni ai danni di ragazzotti più giovani, più solitari e meno muscolosi. Alle volte hanno rubato ai malcapitati qualcosa, altre volte li hanno solo malmenati per la semplice ragione che “questa è la nostra zona”.
L’epoca dei fatti: il 2000 avanti Cristo. Poi ancora il 1000. Poi intorno all’anno zero. Poi un sacco di volte fra il 500 e il 1500. Poi ancora nel Settecento, ai primi dell’Ottocento, verso la metà del Novecento. Ultimo episodio, il 2019. Stavolta, però, è diverso: la colpa è di Grand theft auto, il violentissimo videogioco responsabile di sviare le teste dei nostri altrimenti pacifici ragazzi…
Non so se il lettore mi perdonerà l’ironia, che stavolta sconfina nel pesante sarcasmo; però non riesco a trattenermi: ma di che cosa stiamo parlando? Il “colpevole” della violenza dei giovani è un videogioco? E i giovani celti che scorrazzavano nei boschi della zona di Monza – è qui che sono avvenute le violenze di cui ci stiamo occupando – duemila e cinquecento anni fa, imponendo a chiunque la legge del più forte, a che videogioco avranno giocato? E i giovani longobardi che hanno fatto lo stesso mille anni dopo suppergiù, da quale aggeggio elettronico erano stati traviati? E i bravi di don Rodrigo – altro salto di un migliaio d’anni – che pure in quei luoghi compivano le loro poco lodevoli imprese, da quale videogame avranno tratto ispirazione?
Noi umani siamo così. Ci riuniamo in bande – in tribù, in clan… – e ciascuna impone il suo controllo su un territorio. Dalle origini del mondo alle baby gang americane, passando per I ragazzi della via Paal (che non di altro parla che di una guerra per bande per il controllo del territorio…) e per i giovanotti nostrani che fino all’altro ieri scazzottavano il förest che si azzardava a venire a guardare le ragazze alla fiera del paese, i giovani stanno al mondo così. È assurdo pensare che il problema siano i videogiochi. Il problema, semmai, è il venir meno di un’autorità riconosciuta, che metta fine alla guerra per bande in nome di una giustizia più seria.
Lo dico prendendo in prestito qualche riga de L’ultimo giornale dell’imperatore, libro struggente che raccoglie una serie di articoli scritti da Robert Musil per Patria, un foglio stampato nel 1918 nell’illusione di tenere alto il morale dei soldati dell’esercito asburgico. Scrive così, a un certo punto, il grande Musil: “Come si è usciti dall’epoca dei predoni? Forse che i grandi cavalieri saccheggiatori, i baroni devastatori e, commossi dal loro esempio, i piccoli malfattori, i rubagalline, i briganti di strada, gli ex galeotti di ogni genere, d’improvviso e da sé hanno riconosciuto la profonda verità della dottrina cristiana e, svergognati, hanno abbandonato la loro peccaminosa attività?”. Forse che i prepotentoni di oggi – potremmo parafrasare – d’improvviso potrebbero convertirsi riconoscendo la profonda verità dei corsi antibullismo? “No – risponde Musil –, è stato il forte braccio di re e imperatori che ha tolto loro di mano le armi, che ha messo a ferro e fuoco le loro rocche e i loro nascondigli, che ha reso sicure le strade e giustiziato gli assassini. Solo allora, solo dopo che l’ordine è stato imposto, si sono diffusi i buoni costumi fra gli uomini e qualche tempo più tardi già sembrava che questi costumi si fossero diffusi da sé”.
Ma noi abbiamo riso di re e imperatori, abbiamo irriso qualunque forma di autorità, abbiamo acclamato la bontà naturale dell’essere umano liberato dai lacci della civiltà e dello sfruttamento. E adesso, se i nostri ragazzi fanno quello che sempre hanno fatto i loro antenati celti e longobardi e bravi, diamo la colpa ai videogiochi…