Non sarebbe stato un grande sforzo trasferirlo ad altro reparto dove non avrebbe dovuto occuparsi di bottiglie di alcolici, invece di licenziarlo in tronco. Licenziamento che la Corte di appello di Venezia ha accolto pienamente. E’ il caso di un imam musulmano che lavorava in una cooperativa di facchinaggio e che, fedele al suo credo, non voleva trasportare bottiglie di alcolici. E’ il segno di un ritardo culturale da parte di imprenditori e magistratura che non favorisce certo l’integrazione. Si parla tanto in America delle proteste degli enti religiosi contro la riforma sanitaria voluta da Obama, costretti a vendere e garantire i contraccezionali, proteste giuste perché vanno contro la fede cristiana, ma, con le dovute differenze, siamo davanti a un caso analogo.



DISCRIMINAZIONE RELIGIOSA

Secondo quanto riporta oggi il Corriere del Veneto, l’imam era socio della cooperativa Vicentina Leone Scari che nel 2014 avviò un procedimento disciplinare fino al licenziamento. Non si trattava poi di un islamico qualunque, ma di un imam, quindi un sacerdote, chiamato a dare il buon esempio ai suoi fedeli. Il tribunale di Vicenza nel 2017 aveva respinto la richiesta di essere reintegrato al suo lavoro, oggi la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza con la ridicola motivazione che in quella cooperativa lavorano altri islamici che quelle bottiglie le toccano. Non è stato tenuto conto che magari quei musulmani non sono credenti o praticanti, evidentemente. E’ un caso di discriminazione evidente che non aiuta l’inserimento nella società italiana, anzi lo aumenta. In Inghilterra, dove sono più intelligenti, i ristoranti di proprietà di islamici non vendono bottiglie di alcolici, ma permettono ai clienti di comprarsele e portarle da sé in ristorante. Se si vuole, il modo di convivere secondo ognuno le proprie usanze si trova.

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