Si chiama base jumping la disciplina che è costata la vita ad un 47enne norvegese nel giorno di Pasqua: l’uomo è morto mentre si cimentava nel cosiddetto ‘paracadutismo da fermo’, un lancio che normalmente avviene da dirupi scoscesi, montagne a strapiombo, ponti e grattacieli. In questo caso il punto di salto del “jumper” è stato il Becco dell’Aquila, tra le montagne del Trentino meridionale, ritenuto il grande sogno per chi pratica uno sport all’insegna del brivido e riconosciuto come “estremamente pericoloso”. Secondo quanto riferito dall’Agi, il base jumper della Norvegia è salito all’alba sul monte Brento e da lì si è lanciato con la sua tuta alare finendo per schiantarsi nel greto del fiume Sarca nella zona del Gaggiolo, situato diverse centinaia di metri più in basso: una morte tremenda che allunga la lista dei morti di questa disciplina portandoli a 330 dal 1981 ad oggi.



INCIDENTE BASE JUMPING

Ma cos’ha causato la morte del base jumper scandinavo morto oggi in Trentino sarebbe stato vittima di un incidente causato dalla mancata apertura della vela della sua tuta alare. Il 47enne norvegese è andato dunque incontro alla morte tipica dei cosiddetti “angeli volanti”: il caso più celebre in Italia è quello di Uli Emanuele, jumper di fama internazionale morto in Svizzera nell’agosto del 2016 e a sua volta entrato a far parte della terribile “Fatality List” in cui compaiono ad oggi una ventina di connazionali. Secondo gli esperti i morti sarebbero addirittura superiori a quota 330, raggiungendo e superando i 400 decessi. Il Brento purtroppo non è nuovo ad incidenti di questo tipo: appreso della caduta del jumper norvegese, il coordinatore dell’area operativa Trentino Meridionale del Soccorso Alpino ha inviato sul posto una squadra di terra, l’elicottero ed i vigili del fuoco della zona, ma per il 47 non c’era già più niente da fare.

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