Ieri il Consiglio d’Europa ha bocciato l’Italia, agli ultimi posti per sovraffollamento delle carceri: è tra i peggiori del continente, seguito solo da Macedonia del Nord, Romania e Francia. La stroncatura arriva a pochi giorni di distanza dall’allarme del Garante nazionale per le persone detenute, Mauro Palma, che ha illustrato la relazione annuale sullo stato delle carceri alla Camera, alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Un rito stanco e tragico al tempo stesso. Ambiente solenne, espressioni comprese, puntuali resoconti sui media. Tutto come ogni anno, e fino all’anno prossimo e alla prossima relazione che ci parlerà, salvo miracoli, negli stessi termini.
Una disumanità tragica e costante: 60mila detenuti chiusi 22 ore al giorno in celle che ne potrebbero contenere il 30% in meno, centinaia di gesti di autolesionismo, un detenuto che si suicida alla settimana e una guardia carceraria al mese. Questo rito atroce non cambia da decine d’anni. Cambiano i governi, i magistrati, i giornalisti, ma non cambiano le parole d’ordine che garantiscono consenso a tutti: severità, onestà, certezza della pena, rispetto per le sentenze che spediscono il condannato – e spesso anche chi è in attesa di giudizio – in carcere, discarica ultima della giustizia.
La sostanziale immutabilità della situazione ha registrato nell’ultimo anno – incredibile a dirsi – un peggioramento. Sono diminuiti i detenuti che escono dal carcere avendo diritto a una misura alternativa alla pena: ad esempio, un’attività all’esterno presso una cooperativa sociale, che affianchi i detenuti con attività di formazione per un successivo inserimento lavorativo a pena conclusa. Si tratta di 5mila soggetti con pena residua da scontare inferiore ai due anni, che se imparassero un lavoro ben difficilmente rientrerebbero in carcere. La recidiva in Italia è la più alta d’Europa: due detenuti su tre tornano a delinquere una volta scontata la pena nel chiuso di una cella.
Fra quelli che imparano un lavoro, dentro o fuori dal carcere, ben pochi rientrano in prigione. Le misure alternative alla reclusione sono previste da una legge dello Stato che lo Stato disattende. Lo Stato viola impunemente le regole che si è dato in materia di detenzione e recupero del condannato, nel silenzio complice delle sue componenti. Non mi risulta un’indagine di una Procura o un’ispezione di un’Asl sulle condizioni di vita dei detenuti: il sovraffollamento delle carceri farebbe gridare allo scandalo gli animalisti se si trattasse di un allevamento.
Diversi anni fa, io e gli amici di una cooperativa sociale decidiamo di rilevare un edificio scolastico delle Suore Rosminiane per destinarlo principalmente a corsi di formazione professionale. A settembre cominciano le attività didattiche e passiamo i mesi estivi a mettere a punto gli impianti, le uscite di sicurezza, i bagni per i portatori di handicap… L’ispettore dell’Azienda sanitaria locale gira piano per piano e compila un elenco dettagliato di lavori aggiuntivi: qui una porta tagliafuoco, lì uno scivolo, in cortile una ringhiera più alta eccetera.
“Ma, mi scusi, andava tutto bene fino a un paio di mesi fa…”, dico mostrando i permessi che mi hanno girato le Suore.
L’ispettore è comprensivo: “Vede, quando cambia il soggetto che gestisce le attività, abbiamo l’obbligo di verificare la conformità delle autorizzazioni esistenti alle leggi vigenti: e ci sono appena stati degli aggiornamenti alle normative sulla sicurezza, soprattutto per le attività didattiche”.
“Mi scusi – insisto – abbiamo ragazzi che provengono da una scuola pubblica delle vicinanze che cade a pezzi… uno studente, in carrozzina, veniva aiutato dai compagni ad ogni ostacolo, ad ogni gradino…”.
L’ispettore si stringe nelle spalle: “Lo so. Ma lo Stato fa deroghe – o chiude un occhio – a se stesso… per voi è un’altra storia. Mi spiace, la prego, non mi metta in imbarazzo”.