Il presidente della Corte d’Appello di Torino, Edoardo Barelli Innocenti, ha voluto chiedere scusa alla famiglia di Stefano Leo in qualità di rappresentante dello Stato in merito alla mancata carcerazione di Said Mechaquat, killer del giovane commesso. Al tempo stesso ha però difeso l’operato dei suoi giudici spiegando di aver fatto quanto nel loro dovere. “Sono qui a prendermi i pesci in faccia, come è giusto che sia, ma non scrivete che la colpa è solo dei magistrati. Non è neanche giusto distinguere tra magistrati e cancelleria, ma la massa di lavoro da smaltire è tale che il ministero della Giustizia dovrebbe provvedere ad assumere cancellieri e assistenti perché è quello di cui abbiamo bisogno”, ha poi ribadito come riporta Tgcom24. Barelli ha dunque ricostruito tutte le tappe della vicenda spiegando anche i reati commessi da Said, per maltrattamenti in famiglia nel 2013, spiegando nel dettaglio i tempi tecnici della giustizia che a prescindere non avrebbero garantito la presenza in carcere del killer di Stefano Leo il 23 febbraio scorso. “La Corte d’Appello non è corresponsabile del fatto, questo va detto”, ha quindi ribadito con forza. Dunque, mancanza di personale e tempi tecnici troppo lunghi e mancata trasmissione degli atti avrebbero giocato un ruolo decisivo nella vicenda. (Aggiornamento di Emanuela Longo)



“LE SCUSE ALLA FAMIGLIA”

C’è stato forse un problema in merito all’incarcerazione di Said Mechaquat, il magrebino che ha ucciso al Murazzi il povero Stefano Leo. Nonostante il presidente della Corte d’Appello Edoardo Barelli Innocenti, bolli come notizie “false” quanto emerso nelle scorse ore, lo stesso ha ammesso qualche intoppo burocratico, parlando stamane in conferenza stampa: «Queste cose non devono succedere – le sue parole – ma purtroppo è qualcosa è successo: un problema nell’esecuzione, la cui responsabilità non è dei magistrati. Il sistema è malato. Sono qui a dire che ce la metteremo tutta affinché non possa più accadere una cosa simile, anche se non posso nemmeno garantirlo». Stando a quanto spiega Barelli, i magistrati non hanno commesso alcun errore, rispettando i tempi del procedimento, ma la sentenza definitiva doveva essere notificata il 9 maggio scorso, e non è mai arrivata visto che vi erano mille fascicoli arretrati e i cancellieri avevano l’input di dare priorità alle condanne superiori ai tre anni. «Come rappresentante dello Stato – ha aggiunto Barelli – mi sento di chiedere scusa alla famiglia ma vorrei che si comprendesse che non c’è nessuna certezza che il 23 febbraio Said Mechaquat non dovesse essere in carcere. Anche in sede esecutiva ogni sei mesi ci sono 45 giorni di beneficio. E se anche l’imputato entra in carcere può avere misure alternative». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)



STEFANO LEO, SAID DOVEVA ESSERE IN GALERA?

E’ in corso a Torino la conferenza stampa del presidente della corte d’appello, Edoardo Barelli, in merito all’omicidio di Stefano Leo e agli ultimi sviluppi. Sembra infatti che Said, l’assassino del commesso della K Way, doveva essere in carcere a seguito di una condanna per maltrattamenti in famiglia. Barelli ha però voluto smentire seccamente che la magistratura abbia commesso degli errori dovuti a ritardi, come spiegato dall’inviata di Chi l’ha Visto: “La magistratura ha agito in maniera impeccabile . ha detto il presidente – e quanto emerso in queste ore sulla stampa non corrisponde al vero”. Il presidente ha spiegato che la cancelleria è oberata di lavoro, ma nessun errore è stato commesso. «Prima voglio vedere le carte – dice Ferraris, avvocato della famiglia Leo – non mi piace dire cose imprecise ma mi sarei atteso che queste spiegazioni provenissero alla famiglia prima di una conferenza, ad ogni modo attendiamo delucidazioni. Se venisse confermato che Said doveva essere in carcere, ci sarà qualcuno responsabile all’interno dell’amministrazione, un fatto piuttosto grave. Se il 23 fosse stato in carcere non sarebbe avvenuto l’omicidio di Stefano». Così infine Basilio Foti, il legale di Said: «Non ero assolutamente al corrente di questa condanna, l’ho saputo solo martedì». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)



STEFANO LEO, IL PADRE “HO LA NAUSEA”

Non ha parole il padre di Stefano Leo, il giovane torinese ucciso sulle rive del Po da Said Mechaquat. Il killer avrebbe dovuto essere in carcere e non in libertà, visto che lo stesso era stato condannato in via definitiva ad un anno e sei mesi di reclusione per maltrattamenti in famiglia. Peccato però, come riferisce l’agenzia Ansa, che vi sarebbero stati dei ritardi o degli intoppi nella trasmissione dei documenti della corte d’appello alla procura, che avrebbero appunto “liberato” il magrebino. Come detto in apertura, Maurizio Leo, il papà del giovane barbaramente sgozzato, non riesce a capacitarsene: «Ho la nausea – dice in una drammatica intervista rilasciata ai microfoni del quotidiano La Stampa – questo Paese non tutela i suoi cittadini. Voglio andarmene via. Non voglio più sapere niente. Mi sento svuotato di tutto. Mi sento tradito». Il papà dell’ex commesso della K Way aggiunge: «Doveva essere in galera -e invece per un errore o una sciatteria era libero. Io non voglio più stare qui, non ci resisto più». Non riesce a darsi pace il genitore di Stefano: «Oggi sarebbe vivo, mi avrebbe telefonato come faceva sempre. Mi avrebbe mandato le foto dal lungo Po e detto che si trovava nel posto più bello del mondo. Lo sa quante volte lo ha fatto? Lui qui era felice». Ed ora Maurizio come si muoverà? «E’ accaduto tutto così in fretta – prosegue – ma farò di tutto per far avere a Stefano quella giustizia terrena che si merita. Farò tutto ciò che è umanamente possibile. Poi cercherò di riprendere in mano quel che resta della mia vita». Intanto si continua ad indagare e le forze dell’ordine hanno il sospetto che Said Mechaquat abbia raccontato una versione dei fatti non corrispondente al vero; non vi sono infatti dubbi che sia stato lui ad ammazzare il povero Stefano, ma non convince il movente. Gli inquirenti pensano infatti che Said volesse uccidere il compagno della sua ex, sbagliando clamorosamente persona. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)

STEFANO LEO: L’OMICIDA DOVEVA ESSERE IN CARCERE

Stefano Leo, Said Mechaquat ha confessato l’omicidio del 34enne avvenuto lo scorso 23 febbraio 2019 a Torino nei pressi dei Murazzi. La confessione choc del killer ha scosso l’opinione pubblica , un racconto da brividi in cui ha affermato di aver ammazzato il giovane di Biella perché era felice, ma spunta un nuovo particolare: secondo quanto riporta l’Ansa, il 23 febbraio scorso Said non avrebbe dovuto essere a piede libero. Il marocchino infatti era stato condannato a un anno e sei mesi di carcere per maltrattamenti in famiglia con una sentenza definitiva: l’agenzia di stampa evidenzia che ci sarebbe stato un intoppo o un ritardo nella trasmissione dei documenti della Corte d’appello alla Procura presso il Tribunale e per questo motivo sarebbe rimasto a piede libero. E c’è di più: era stata esclusa la possibilità di beneficiare della sospensione della pena perché il 27enne da minorenne aveva ottenuto un perdono giudiziario in un processo per rapina.

L’ALTRA PISTA: STEFANO LEO UCCISO PER UNO SCAMBIO DI PERSONA?

Negli ultimi giorni è parlato anche di un possibile scambio di persone, con Stefano Leo ucciso per errore dal ventisettenne: il nuovo compagno dell’ex fidanzata di Said Mechaquat, Fabio, somiglia incredibilmente al 34enne di Biella e non è ancora possibile escludere al 100 per cento che fosse lui il vero obiettivo del marocchino. Il padre di Fabio, Nicola M., ha raccontato alla Procura di Torino: «Aveva minacciato che un giorno o l’altro gli avrebbe tagliato la gola. La barba, il sorriso, a parte gli orecchini e il colore degli occhi si assomigliano come due gocce d’acqua. Quell’uomo voleva sgozzare mio figlio, non quel povero ragazzo. Said e Fabio si conoscono, hanno litigato spesso perché mio figlio difendeva la sua compagna con cui vive da diversi anni. Ma forse Said si è confuso, non lo so», riporta Repubblica. Ed è noto che Said fosse incollerito per il fatto di non vedere da tempo il figlio, nato dalla relazione con l’ex compagna…

LA VIOLENZA DI SAID: “CALCI E PUGNI A EX RAGAZZA”

Le forze dell’ordine stanno scavando nel passato di Said Mechaquat e il suo “curriculum” vanta diversi episodi di violenza. La condanna di primo grado emessa nel giugno 2016 non lasciava spazio a dubbi, come riporta la stampa: «Violenza fisica psicologica, ingiurie, minacce, danneggiamenti» ai danni dell’ex fidanzata. Calci, pugni e sputi, con Said «che aveva ridotto la ex compagna in uno stato di succubanza, costretta a subire percosse e minacce con frequenza costante. Per sua stessa ammissione almeno tre volte al mese». Violenze terribili, perpetrate anche quando lei era incinta di loro figlio, un’ira senza controllo che la costringe in diverse occasioni a ricorrere alle cure in ospedale. A Said, arrestato per le lesioni, viene imposto il divieto di avvicinamento ma l’ex compagna lo accoglie di nuovo a casa. E non cambia nulla…