Dieci anni dopo tante cose sono cambiate. Ma non sono cambiati i ricordi. Restano le paure, le ansie, i momenti di panico. Rimane il dolore nel ricordo di chi non c’è più.

Dieci anni sono tanti e rappresentano l’occasione per le celebrazioni in grande stile. La città dell’Aquila è listata a lutto, il premier Conte ha annunciato la sua presenza alla fiaccolata delle 3.32, quell’orario fissato nella testa di molti, quando la terra ha cominciato a girare su se stessa, portando distruzione, macerie e morti. Un terremoto in città, in gran parte dell’Abruzzo, tanti terremoti dentro ciascuna persona.



Ma in questo 6 aprile ci saranno tante persone diverse. Ci saranno i bambini di dieci anni fa, che oggi sono adolescenti, uomini. Ci sono i bambini di oggi, il futuro dell’Aquila, che quel terremoto non l’hanno vissuto, se non nei racconti dei genitori e dei nonni. In dieci anni è stato scritto tanto, forse troppo. In dieci anni ho cercato di guardare con attenzione cos’era successo e cosa stava succedendo. Venire oggi all’Aquila significa scoprire una città che presenta vistose ferite, case che rispecchiano la notte di dieci anni fa, con le crepe, i muri crollati. Ma c’è anche tanto di nuovo, palazzi che adesso hanno un’anima antisismica, anche se nessuno vorrebbe testarli. Il centro storico ha ripreso parte della sua vita, i commercianti hanno riaperto negozi e botteghe, puntando molto sui prodotti tipici, perché i turisti, i curiosi sono tanti. E allora è giusto che imparino a conoscere i sapori e i saperi di una città che ha saputo risollevarsi. Per qualche giorno dell’Aquila si sentirà parlare tanto e dappertutto. Talk show, fiction, articoli di giornale. Torneranno le polemiche di chi punterà il dito su ciò che non è stato fatto, distribuendo colpe un po’ qua e un po’ là.



Ma da raccontare a chi non c’era, a chi non ha visto, a chi non ha vissuto ci deve essere soprattutto la grande solidarietà che sin dalle prime ore del mattino di quel tragico 6 aprile di dieci anni fa c’è stata verso L’Aquila, verso l’Abruzzo intero.

Solidarietà che non ha mai smesso e che ancora oggi si riscontra con donazioni. Tanti sono strumenti medici, l’ultimo in ordine di tempo è stato frutto di una raccolta di soldi della comunità abruzzese in Canada solo pochi giorni fa. Nelle prime ore la solidarietà era fatta da uomini e donne che avevano abbandonato le loro attività quotidiane, avevano preso giorni di ferie per correre in Abruzzo e mettersi al servizio di chi ne aveva bisogno. Chi cucinava nei campi allestiti per ospitare chi era rimasto senza casa, chi scavava tra le macerie insieme ai vigili del fuoco con la speranza di riuscire a trovare qualcuno ancora in vita. Il sistema di Protezione civile che gestiva Guido Bertolaso trovava un’occupazione a tutti, un impegno che avrebbe donato un sorriso, un momento di tranquillità o almeno meno ansia a chi da quella notte viveva di incubi.



Dopo dieci anni molti aquilani sono tornati nelle proprie abitazioni, tanti vivono ancora all’interno dei Progetti Case, quelle che erano state ribattezzate le case di Berlusconi. Già, perché l’allora presidente del Consiglio si inventò la proposta di dare entro il Natale successivo una casa a tutti, togliendo gli aquilani dagli alberghi della costa adriatica, facendoli rientrare in città, consentendo ai bambini e ai ragazzi di tornare sui banchi di scuola, in strutture provvisorie ma con gli amici e i compagni di sempre.

Ci sono state e ci sono critiche, ma il cuore della città, i suoi abitanti, non si sono persi per strada. In molti non sono voluti andare via, non perché il cuore li teneva attaccati all’Aquila, ma perché non avrebbero saputo dove andare, dove ricominciare. E così L’Aquila ha vissuto il dramma di un funerale con centinaia di bare distese una accanto all’altra, con le parole di Papa Benedetto XVI che cercavano di donare un conforto terreno a chi non aveva parole per rispondere a domande su un destino così difficile da comprendere. Ma L’Aquila ha anche vissuto l’esperienza del G8, trasferito in tutta fretta in Abruzzo dalla Maddalena. Una presenza dei capi di Stato di tutto il mondo che hanno visto con i propri occhi cos’era accaduto. E in molti, a cominciare da Francia e Germania, hanno voluto essere protagonisti della ricostruzione.

Dopo dieci anni rimane la paura, soprattutto quando le scosse si fanno più forti, perché le scosse non hanno mai abbandonato la quotidianità degli abruzzesi, perché nel 2016 e ancora nel 2017 forti terremoti hanno provocato danni e desolazione. Fortunatamente non vittime. Solo ieri una scossa di magnitudo 2.4 con epicentro a Capitignano si è fatta sentire per non far dimenticare, per tenere tutti vigili, nell’impotenza di predire, nell’incapacità di far vivere nella tranquillità.

Dopo dieci anni, però, si guarda al futuro, lasciando le celebrazioni a un solo giorno, e vivendo i rimanenti 364 dell’anno con la voglia di costruire, non solo palazzi e case, ma una società felice. Dopo dieci anni il mio destino mi ha riportato a lavorare all’Aquila, che avevo abbandonato nel 2009, dopo che il terremoto distrusse la redazione del quotidiano dove lavoravo, dopo otto mesi trascorsi in situazioni di precarietà, prima in mezzo alla strada, poi negli spazi che ci aveva messo a disposizione la Guardia di finanza. Poi il mio trasferimento lavorativo a Pescara. Poi, dopo il terremoto, tanti altri terremoti personali, come accade nella vita di ciascuno. Quindi il ritorno all’Aquila, in un ruolo giornalistico diverso che però mi offre la possibilità di guardare la città, i suoi abitanti e vedere nei loro occhi un ricordo lontano, che non si cancella, che non si dimentica, che le fiaccole della processione che dalla notte del 5 aprile porterà ai 309 rintocchi di campana alle 3.32 di notte in piazza Duomo faranno rivivere. Ma trascorso questo giorno di silenzio e dolore L’Aquila riprenderà una quotidianità fatta di gru e di cantieri, ma anche di 5G, per prima in Italia, di giovani scanzonati che ascoltano i racconti di genitori e nonni, ma che guardano al futuro. Un futuro ricco, diverso. Senza paura.

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