Daniel Pennac chiede pubblicamente scusa per aver difeso Cesare Battisti quattordici anni fa in Francia ed aver firmato l’appello con cui ci si opponeva alla sua estradizione. Sceglie, per farlo, la presentazione di un suo libro alla Ca’ Foscari a Venezia, a pochi chilometri da dove l’umile macellaio Lino Sabbadin venne ucciso nel 1979 dai Proletari armati per il comunismo, l’organizzazione criminale messa in piedi da Battisti.



È bello che un intellettuale della statura di Pennac chieda scusa per aver sbagliato, ma diverse cose lasciano l’amaro in bocca e rischiano di far irritare ancor di più i parenti delle vittime e chi, in Italia, ha sofferto per l’evidente ingiustizia che veniva perpetrata dalla Francia nel difendere un assassino. Se chiedi scusa mentre presenti un tuo libro ma leggendo le dichiarazioni non appari veramente pentito, a chiunque viene il dubbio che si tratti di una goffa operazione commerciale tesa a vendere qualche copia in più. Se poi, sdegnosamente, dichiari che non rilascerai mai più interviste sull’argomento, decidendo tu i tempi e i modi della tua rettifica e togliendo la possibilità di cancellare le ombre che le tue parole hanno sollevato, lasci intendere quanto meno di sentirti al di sopra del popolo italiano che hai ferito tanti anni fa quando hai collaborato ad impedire che Battisti tornasse nel suo paese per essere messo in carcere.



Gli intellettuali corrono a volte il rischio dello snobismo, di voler aver ragione ad ogni costo fino a giustificare una violenza come fosse un atto di rivolta contro la società dei benpensanti. Invece la violenza è sempre violenza e l’omicidio non è mai frutto di riflessione ponderata. Gli anni 70 per l’Italia sono stati una tragedia e ricordarlo significa fare storia, verità e anche dare dignità alle vittime: forse, prima di parlare, bisognerebbe esserne consapevoli.

Lascia poi veramente perplessi la chiusa con cui Pennac dichiara che il merito della sconfitta della lotta armata in Italia va ascritto a Mitterrand e a chi, come lo scrittore francese, lo ha sostenuto. “Io sono stato uno stupido, ho avuto torto – ha dichiarato Pennac – ma ho difeso un’idea, questa è veramente politica pura. Mitterrand in quegli anni, 1985-1990, con la sua dottrina di ospitare i ricercati per atti di natura violenta, ma di natura politica, qualora avessero rinunciato a ogni forma di violenza, ha fermato la guerra civile in Italia, togliendo le armi ai terroristi militanti. Ha disarmato le Brigate Rosse italiane. Ci sono persone che hanno deposto le armi. Lui ha messo fine alla guerra civile. Se Mitterrand non avesse disarmato i brigatisti non ci sarebbe stata quella pace. La sua azione è stata quindi molto importante”.



Scoprire che un intellettuale d’oltralpe crede di conoscere meglio di noi le questioni di casa nostra lascia veramente sconcertati. In questi mesi attorno a Battisti si è assistito ad un dibattito internazionale davvero sconvolgente per chi, come me, ha vissuto in Italia quegli anni o ha studiato seriamente quel periodo. Si sono visti fiumi d’inchiostro perdersi a proposito di trattati, estradizioni, concetti, quali quelli di libertà e popolo: tutte parole astratte che perdono spessore di fronte al sangue veramente versato e alle ferite di cui ancora oggi il nostro paese soffre le conseguenze. Il libro che Pennac presentava a Venezia si chiama Mio fratello e parla di Bernard, il fratello di  Daniel scomparso prematuramente, ed è edito da Feltrinelli. Pensateci bene prima di comprarlo.