Sono state pubblicate le motivazioni della sentenza sull’omicidio di Ciro Esposito che lo scorso 25 settembre confermò in Cassazione (dunque nel terzo ed ultimo grado di giudizio) la condanna a 16 anni per Daniele De Santis, l’ultras romanista che uccise il giovane tifoso napoletano a Roma nel maggio 2014 poco prima della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli. Secondo i giudizi della Corte di Cassazione, De Santis sparò per legittima difesa ma voleva uccidere: «Da un lato, De Santis aveva provocato la situazione di pericolo» e «dall’altro aveva assunto una reazione non proporzionata all’offesa. Pur potendo puntare l’arma o sparare in aria, non l’aveva fatto e risulta avere esploso colpi ad altezza d’uomo (cinque in rapida successione) dei quali quattro andarono a segno», si legge nelle lunghe motivazioni presentate dopo la sentenza emessa ormai più di 6 mesi fa. I giudici concordarono con la decisione già preso in Appello (con la sentenza della prima sezione penale di Roma), ovvero spiegando che vi fu effettivo contatto fisico tra Ciro Esposito e Daniele De Santis, probabilmente con un pugno del tifoso napoletano contro l’ultras-killer. «Questi cadde, e in quell’occasione si ruppe la gamba. Il suo sangue finì sul cappellino di Ciro e sulla pistola, che aveva già impugnato. La sua reazione non fu, secondo i giudici, una risposta a un gruppo di tifosi napoletani che lo avrebbe aggredito. Cosa che, al contrario, si verificò solo dopo gli spari», scrivono ancora dalla Cassazione.
LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA ESPOSITO
Come sottolineano ancora i giudici romani, non si può profilare la legittima difesa per De Santis visto che «si trovava a fronteggiare un gruppetto sparuto», quello di cui faceva parte Ciro, di tifosi disarmati e a mani nude, là dove egli era, al contrario, l’unico ad avere la disponibilità di una pistola». Inoltre, rilancia ancora la Cassazione il condannato «aveva posto in essere le condizioni obiettive che portavano allo scontro. Aveva provocato una situazione di pericolo, scagliando oggetti contro il pullman dei tifosi napoletani, mettendo in conto una possibile reazione e creando così una condizione obiettiva di pericolo». Da ultimo, dopo l’azione dimostrativa l’uso dell’arma fu posto in essere in maniera deliberata: «De Santis non si servì della pistola per dissuadere i soggetti che si avvicinavano. Né la mostrò o sparò in aria nell’esclusivo tentativo di intimorirli. Sparò cinque volte; ripetutamente e ad altezza d’uomo» dunque per uccidere il suo “aggressore”.