Ennesimo colpo di scena nel processo su Stefano Cucchi, che in nove anni ne ha già registrati parecchi. Uno dei carabinieri, anch’egli sotto processo, che erano presenti la notte dell’arresto, Francesco Tedesco, ha rivelato di aver assistito al pestaggio, con pugni e calci in faccia, di Cucchi da parte di due suoi colleghi e co-imputati: “Per me questi nove anni di silenzio sono stati un muro insormontabile” ha detto, chiedendo scusa alla famiglia della vittima. Peso insopportabile da portare o dichiarazione fatta per ottenere benefici in caso di condanna, come peraltro la legge prevede? A movimentare la giornata, prima era arrivata la decisione dell’Arma dei Carabinieri di costituirsi parte civile, una scelta corroborata dalle parole del presidente della I Corte d’Assise, Vincenzo Gaetano: “Non bisogna mai dimenticare che si sta celebrando un processo a cinque componenti dell’Arma dei Carabinieri, e non all’Arma dei Carabinieri”. Lo si può ancora dire dopo che addirittura un generale dell’Arma, Alessandro Casarsa, è accusato di depistaggi e pensando a quante minacce per stare in silenzio avranno ricevuto i cinque carabinieri coinvolti? Ne abbiamo parlato con la dottoressa Roberta Sacchi, psicologa e criminologa.
Innanzitutto, una domanda come criminologa. Il caso Cucchi si trascina ormai da nove anni, con continue rivelazioni e colpi di scena. Il motivo è legato al fatto che è coinvolta l’Arma dei Carabinieri o situazioni del genere nei processi italiani non sono una novità?
Il caso è complesso per una serie di motivi. Come suggerisce lei, sono coinvolte forze dell’ordine e questo purtroppo genera distorsioni processuali. Credo, però, che l’origine di tutti i problemi che si sono susseguiti sia legata all’autopsia. La non chiarezza sulle cause di morte ha determinato una serie di interferenze: questo è il peccato originale del caso Cucchi. Ma è successo altre volte: quando non sono chiare le cause del decesso, poi si cerca di ricostruire la vicenda non avendo ben chiaro quale potrà essere l’esito.
Abbiamo visto spesso errori clamorosi nelle indagini, come la distruzione di prove o del Dna. Si riferisce a questo?
No, questo non è il caso, se non fosse che sembra siano spariti dei verbali o che non sono mai stati redatti. Fondamentale, quando si è in presenza di un decesso, è ricostruirne le cause per poi accertare le responsabilità.
L’ultima novità è la confessione di uno dei cinque carabinieri sotto processo, il cosiddetto super-teste, che accusa due suoi colleghi di aver picchiato selvaggiamente Cucchi. Sta forse cercando di ottenere qualche beneficio processuale o è sbagliato chiederselo?
Se la frase riportata dai media è veritiera, e cioè che avrebbe detto che il capo di imputazione nei suoi confronti, cioè l’omicidio preterintenzionale, gli ha fatto cambiare idea, è evidente che la sua collaborazione ha un certo ruolo. La valutazione sulla validità di un testimone, però, va sempre fatta, perché Tedesco in questo momento ha il duplice ruolo di testimone e di accusato. Potrebbe avvalersi della facoltà di non rispondere, cosa che non sta facendo.
Dunque, è lecito chiedersi quanto sia credibile?
Evidentemente è necessario valutare la sua attendibilità e la sua credibilità. Dal mio punto di vista di psicologa e di criminologa, si tratta di tenere conto di tutti i fattori, di rendere questa testimonianza verosimile e limpida su come sono andate le cose. E’ evidente che la sua situazione è “sporca”, non in senso negativo, ma può spingere l’imputato a fare certe dichiarazioni per ottenere condizioni processuali migliorative, cosa che del resto prevede la legge. Dopo di che, sull’aver detto “mi sono convinto perché dopo nove anni non potevo più portare questo peso e perché avevo paura delle ritorsioni dell’Arma dei Carabinieri” c’è da fare una valutazione di credibilità.
Cosa pensa della decisione dell’Arma dei Carabinieri di costituirsi parte civile, come a scaricare ogni colpa su cinque mele marce?
E’ una valutazione del tutto politica che fa l’Arma, prende una posizione precisa, riconoscendo che ci sono delle mele marce, da cui prende le distanze. Ma questo avviene dopo aver adottato per anni un atteggiamento molto diverso. Personalmente credo che la gestione di una persona arrestata in condizioni così particolari come è stato il fermo di Stefano Cucchi, non debba farci pensare che ci troviamo davanti a soldati perfetti. Ritengo che la situazione sia sfuggita di mano a persone che magari attraverso la divisa e l’esercizio del potere possano aver agito in modi psicologici che vanno al di là del dovere.
Sicuramente carabinieri e poliziotti sono sottoposti a pressioni molto forti e possono perdere il controllo, ma nel caso Cucchi è indagato per depistaggio un generale dell’Arma, Alessandro Casarsa. Questo fa pensare che sia difficile dire che tutte le colpe ricadono solo sui cinque imputati, non crede?
Questo dipende dall’esigenza di una istituzione di proteggersi, è una dinamica precisa dell’istituzione. Non ci vedo del marcio, nel senso di volontà di occultare una verità in modo deciso a tavolino. E’ piuttosto un’esigenza di corporativismo che è comune a molte istituzioni, non solo a quella militare.
(Paolo Vites)