E’ latitante da vent’anni, è responsabile di circa settanta omicidi ed è considerato ad oggi il numero uno di Cosa Nostra. Parliamo di Matteo Messina Denaro, classe 1962, a capo di un clan che nelle ultime ore è stato ulteriormente decimato da una imponente operazione antimafia: in manette sono finite in tutto trenta persone, tra cui la sorella e il nipote del boss, con accuse che vanno dall’associazione di tipo mafioso allo scambio elettorale politico-mafioso, dall’intestazione fittizia di beni all’estorsione. Matteo Messina Denaro nasce a Castelvetrano, provincia di Trapani, il 26 aprile del 1962, e da subito viene soprannominato “Lu siccu” (“il secco”) per la sua minuta costituzione fisica. La prima denuncia per associazione mafiosa arriva nel 1989, mentre due anni più tardi è responsabile dell’omicidio di Nicola Consales, proprietario di un albergo di Triscina che si lamentava con l’allora amante di Messina Denaro di “quei mafiosetti sempre tra i piedi”. Siamo nel luglio 1992 quando il trentenne uccide prima Vincenzo Milazzo, capo della cosca di Alcamo, e poi strangola anche la sua compagna, Antonella Bonomo, incinta di tre mesi. Dopo l’arresto di Totò Riina, Messina Denaro decide di proseguire la strategia degli attentati dinamitardi insieme ai boss Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano: le bombe esploderanno a Firenze, Milano e Roma, uccidendo in tutto dieci persone. Proprio mentre avvenivano quegli attentati, Messina Denaro va in vacanza a Forte dei Marmi con Filippo e Giuseppe Graviano e si rende irreperibile. Inizia quindi la sua lunghissima latitanza che prosegue ancora oggi, ricercato in tutto il mondo per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto ed altri reati minori. Non si interrompe però la scia di sangue: nel novembre 1993 Messina Denaro è tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, il quale, dopo quasi 800 giorni di prigionia, viene strangolato e il corpo sciolto nell’acido. Nel 1998, dopo la morte del padre, diventa capomandamento di Castelvetrano. Attualmente è uno dei latitanti più ricercati: nel 2010 la rivista americana Forbes lo collocava al quinto posto nella lisa dei latitanti più ricchi del mondo.



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