Una ragazza che partorisce nel bosco di Rogoredo è il simbolo della disperazione massima a cui può portare la tossicodipendenza” dice Antonio Boschini, responsabile terapeutico della Comunità San Patrignano, fondata nel 1978 e che da allora ha accolto oltre 26mila ragazzi. “Da allora” aggiunge sono state 430 le ragazze con figli che grazie alla comunità hanno imparato ad essere madri”. Uscendo ovviamente dalla tossicodipendenza. Naturalmente, spiega, ci sono anche molti casi di donne che non riescono ad abbandonare la droga, ogni caso va preso a sé. La Comunità di San Patrignano, con un comunicato ufficiale diffuso ieri, si è dichiarata disponibile ad accogliere la ragazza tossicodipendente che ha partorito in condizioni miserabili, continuando a drogarsi per tutti i mesi della gravidanza, nell’ormai tristemente noto “boschetto di Rogoredo”. “Quei nove mesi” dice ancora Boschivi “che dovrebbero essere l’anticamera di un sogno e invece si trasformano in un incubo”: La ragazza è stata aiutata a partorire dai poliziotti che l’hanno trovata, adesso è ricoverata alla clinica Mangiagalli insieme al figlio. Ma la cosa che colpisce di più di questa storia, e di altre analoghe, è che questa ragazza, in una società dove tante coetanee anche di buona famiglia e senza problemi di droga, partoriscono e abbandonano il bambino nei cassonetti di spazzatura o li lasciano anche morire praticando allucinanti aborti fai da te, ha tenuto il figlio fino a farlo nascere, nonostante si sia drogata ogni giorno di questi nove mesi. Perché? Forse che l’istintivo della maternità è più forte di ogni cosa, anche della droga?
IL FIGLIO FA CAMBIARE VITA
“Certamente è un fatto che colpisce, in un mondo in cui si abortisce in modo continuo è un fatto straordinario. Noi abbiamo madri che hanno avuto anche 3 o 4 figli pur facendo uso della droga, eppure li hanno fatti nascere. Quando succede che arrivano in gravidanza cerchiamo di disintossicarle perché il figlio non nasca nella dipendenza. L’esperienza ce l’abbiamo, è chiaro che ogni persona è diversa e ha una storia diversa”. Quale l’impegno maggiore per queste ragazze madri tossicodipendenti? “Situazioni ne abbiamo viste veramente tante, ci sono storie di cui la stampa non parla, ma ci sono. All’inizio è più difficile del normale, ma noto che l’avere un figlio, superato il primo periodo, può essere un fattore di motivazione in più per cambiare vita. Ci vuole uno sforzo grande, vanno seguite e aiutate da altre ragazze che hanno avuto una storia come la loro. Questo in particolare è sicuramente un caso difficile, certo ci vuole la collaborazione dei servizi sociali, della famiglia, sempre che ci sia. Ci vuole soprattutto la motivazione da parte loro, noi accettiamo persone che vogliono cambiare vita. Pur sapendo che ci saranno crisi, cambiamento di idee ma qualche volta, non sempre purtroppo, la presenza di un figlio spinge la persona a superare il suo problema”. “Non ci interessa il suo passato, ma vogliamo guardare con fiducia al futuro suo e del figlio, convinti che la sua sofferenza possa trasformarsi in felicità” conclude Boschini.
(Paolo Vites)