Antonio Manganelli purtroppo non ce l’ha fatta. La sue condizioni erano apparse da subito gravi eppure non disperate e sembrava che il Capo della Polizia italiana sarebbe riuscito a superare l’infezione respiratoria che l’aveva colpito dopo la rimozione dell’ematoma cererebrale, conseguenza di un’emorragia avvenuta il 24 febbraio scorso. Eppure, il 62enne dal coma farmacologico indottogli per facilitare il recupero non si è più svegliato e in tarda mattinata è morto all’ospedale San Giovanni di Roma, dove era stato ricoverato d’urgenza quasi un mese fa. L’intervento era riuscito, ma sono state le complicazioni postoperatorie ad abbattere quest’uomo che era riuscito, un paio d’anni fa, a combattere il tumore che lo aveva colpito ai polmoni, facendosi curare negli Usa. Un uomo sempre sorridente, dice di lui chi lo conosceva bene, che ha speso tutta la sua vita nelle Forze dell’Ordine, insieme alla moglie Adriana, compagna di vita e di lavoro. Collaborò con Falcone e Borsellino e Manganelli e divenne un punto di riferimento per la lotta alla criminalità organizzata. Uno “sbirro” fuori dal comune, che arrivò – cosa impensabile per un funzionario così in alto e, soprattutto, per un poliziotto – a chiedere scusa a un partecipante che, l’anno scorso, durante una manifestazione a Roma era stato ingiustamnete percosso. E che arrivò, persino, a tener testa a Beppe Grillo, rispondendo di suo pugno a una lettera che il guro del M5S gli aveva indirizzato per lamentarsi di alcuni interventi violenti di poliziotti durante il G8 di Genova. “Migliaia di poliziotti rischiano ogni giorno la vita, e spesso la perdono, per proteggere i cittadini”, fu la risposta chiara di Manganelli a Grillo, “e non meritano di essere associati a chi ha macchiato la divisa e il Corpo a cui appartengono durante il G8”. Le prime condoglianze via Twitter arrivano dal neopresidente lombardo Roberto Maroni, di cui Manganelli era grande amico: “Ciao Antonio, maestro di vita e amico vero. Rimarrai per sempre nel mio cuore”.