Medolla. Non capiscono perché la Terra si stia accanendo sulle loro esistenze. Stavano conducendo una vita normale, con le sue gioie e le sue afflizioni. Come tutti. Poi, quella drammatica notte del 20 maggio, il filo della loro quotidianità si è spezzato. Per alcuni, per sempre. Poi, di nuovo. Una seconda volta. Neanche il tempo di guardasi attorno, capire cos’era successo, riordinare le idee e provare a riprendersi, e la terra ha tremato di nuovo. Forse, con ancora più veemenza. Sicuramente, più a lungo. Questa volta, uccidendo 16 persone. Alle 9.00, alle 13.00 e alle 13.01 si sono scatenate, con epicentro tra Medolla, Mirandola e Cavezzo, tre scosse di magnitudo 5.3, 5.1 e 5. Hanno ucciso e distrutto. Hanno distrutto, soprattutto, tanti capannoni e tante aziende che rappresentavano il fiore all’occhiello dell’eccellenza italiana. Specie, in campo biomedico, ma non solo. E poi, c’è Damiano Cossi. Un addetto alla manutenzione della Menu Srl, azienda di Medolla che si occupa di specialità alimentari. Ora, l’azienda non c’è più. Pure lui rischiava di non esserci più. Quando il capannone è crollato per il terremoto, si trovava a sui interno. Invece, è andata in un altro modo. E adesso, è qui a raccontarcelo.



Lei è vivo per miracolo

Beh, mi è andata bene…

Cos’è successo?

Attorno alle 9.00, mi trovavo dentro il capannone dell’azienda. La struttura aveva resistito bene alle scosse del 20 maggio. Tuttavia, il proprietario, per questa settimana, aveva deciso di mandare al lavoro solamente gli addetti alla manutenzione e pochi altri, e di lasciare tutti gli altri a casa. Stavo, quindi, procedendo, assieme agli altri colleghi, alla messa in sicurezza della zona. Eravamo una quarantina, in tutto.  Quando la terra ha ripreso a tremare.



E poi?

Poi, il capannone è crollato

Come ha fatto a salvarsi?

Tanto per cominciare, non stavamo lavorando sulle coperture. In quel caso avremmo avuto ben poche speranze. Consideri, inoltre, che il capannone occupa un’area di 4mila metri quadrati. Rispetto a dove stavamo lavorando, la prima porta per uscire era lontana almeno una settantina di metri. Per sicurezza avevamo, quindi, deciso di predisporre una scaletta d’emergenza accanto ad una finestra. Eravamo a pian terreno, ma l’apertura è rialzata e, senza quella provvidenziale scaletta, non so in quanti si sarebbero salvati. Abbiamo fatto in tempo a lasciare il capannone per vederlo sbriciolarsi di fronte ai nostri occhi. Di tutta la struttura, è rimasto in piedi pochissimo.



Ha avuto modo di vedere il proprietario?

Sì, certo. E’ accorso immediatamente, non appena ha saputo. Piangeva, era preoccupatissimo per i dipendenti.

Ora, ha idea di cosa ne sarà dell’azienda?

Non lo sappiamo. La Menù fattura 100 milioni l’anno, ha 300 dipendenti. Certo, sarebbe un gran problema se non dovesse ripartire. Non abbiamo, però, la più pallida idea se si rimetterà o meno in piedi. Sinceramente, adesso, stiamo ringraziando tutti il Cielo di essere vivi.

Intorno a lei com’è la situazione?

Un disastro, un vero disastro. Ci sono macerie a capannoni distrutti ovunque. La gente è in strada, attonita, impaurita. Cerca tra le macerie, ancora non sa se qualcuno potrebbe essere rimasto ancora lì sotto. Molti cittadini sono stati ospitati nelle tendopoli, ce ne sono moltissime.

Anche lei sta in una tendopoli?

Sì, con tutta la mia famiglia. Viviamo a San Felice e casa nostra, il 20 maggio, non sembrava aver subito danni. Ci è stato detto, in ogni caso, che era meglio spostarci. Ora, con questa scossa, non sappiamo ancora se sia rimasta perfettamente intatta o no. Da fuori, sembrerebbe di sì.

In queste tendopoli, l’organizzazione è effettivamente allo sbando come si dice?

Guardi, tutti i volontari dei Vigili del fuoco, della Croce Rossa e della Protezione civile hanno fatto fin troppo. I telegiornali hanno fatto passare un messaggio sbagliato, facendo credere che la gestione dell’emergenza fosse stata fin qui condotta in maniera fallimentare. Ma non è così. Dico io: ma come si fa a lamentarsi per il caldo, quando bisognerebbe ringraziare il Cielo di essere vivi?

E’ la stessa cosa che dice il fratello di Damiano, Mattia. Anche lui ci ha voluto raccontare la sua storia. Anche lui, prima di tutto, si considera molto fortunato ad essere ancora in vita. Anche se si è rotto un piede…

La notte scorsa, quando c’è stata la prima scossa, siamo scappati fuori da casa nostra il più in fretta possibile. Mobili e soprammobili ci stavano cadendo addosso, mentre il pavimento sembrava crollarci sotto i piedi. Ecco, durante la corsa, ero scalzo e per evitare gli oggetti che cadevano, è successo che ho sbattuto il piede. Niente di che, una piccola frattura al tallone.  

Poteva andare peggio…

Molto peggio. Io, ieri, mentre il terremoto nuovamente colpiva, ero a Sassuolo, per farmi, appunto, una lastra al piede. L’ho avvertito, quindi, meno dell’altra volta. Quella drammatica notte, però, ricordo bene che la prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di contarci, per vedere se c’eravamo tutti. Dopo esserci rallegrati per essere in vita, io e i miei familiari, come del resto tutti gli abitanti, abbiamo controllato la nostra casa. A noi è andata bene. I miei due zii, invece, hanno perso le loro abitazioni in centro. E tantissimi imprenditori hanno perso la loro azienda. Una disgrazia. Molti lavoratori, già prima del terremoto, erano in cassa integrazione. Ora non possiamo fare altro che sperare in un altro miracolo.

 

 

(Paolo Nessi)

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