Due scosse violentissime hanno messo in ginocchio le zone del modenese, dopo la già terribile scossa di domenica scorsa 20 maggio. Ieri ha tremato di nuovo tutto il nord Italia, con gente spaventata che scendeva in strada da Milano a Padova, mentre piccole località tra Modena e Mantova subivano danni gravissimi, con il crollo di chiese, capannoni industriali e quindici morti. A quanto pare questo territorio dovrà soffrire ancora nuovi eventi sismici: è infatti in atto uno scontro tra le placche africana ed europea, una compressione tra nord e sud del pianeta e più nel dettaglio una spinta degli Appennini al di sopra della microplacca adriatica. In questo contesto si fanno numerose ipotesi: quella più comune riguarda la possibile apertura di una faglia sotterranea lunga anche quaranta chilometri che avrebbe tagliato la Val Padana tra Ferrara e Modena. Smentisce l’ipotesi il professor Ignazio Guerra, sismologo, contattato da IlSussidiario.net: “Difficilmente si aprono delle nuove faglie, sono delle linee di frattura lungo le quali abbiamo degli scorrimenti. Difficilmente una faglia si crea ex novo, normalmente sono tagli che si riattivano poi si bloccano e fino a quando non si crea uno sforzo sufficiente e non si accumula sufficiente deformazione per spezzare l’ostacolo questa faglia sta lì immobile”. Quando però questa faglia che ha resistito anche per secoli agli sforzi che la vogliono far muovere, spiega ancora il professor Guerra, “all’improvviso spezza ciò che la teneva bloccata, e allora si verifica il terremoto devastante”. Sono molti comunque gli interrogativi a proposito di quanto sta succedendo in Emilia-Romagna, ad esempio se è vero che scosse premonitrici di quanto accaduto in queste ultime ore si fossero verificate in periodi recenti. Li abbiamo sottoposti al professor Ignazio Guerra.
Professore vorremmo cercare di capire quanto sta succedendo in Emilia-Romagna in queste ultime ore.
Capire la situazione è quello che vorrebbero tutti.
Ecco. Ad esempio, è vero che stiamo assistendo a una spinta che sposta gli Appennini verso la microplacca adriatica, cioè il Mar Adriatico?
Certamente, il contesto geodinamico è questo. La parte appenninica tende a scivolare sull’Adriatico. Ma è anche vero che tutti i terremoti più grossi della catena appenninica negli ultimi decenni hanno avuto questo tipo di meccanismo.
C’è chi dice che in questa area non si verificavano terremoti di questo livello da almeno trecento, quattrocento anni. Però negli ultimi anni, anche lo scorso gennaio, ci sono state scosse piuttosto forti che potevano far capire che gli Appennini avevano ricominciato a muoversi.
Guardi, noi registriamo delle cose, cioè le scosse di terremoto, però se poi quello che registriamo è una scossa principale rispetto a un gruppo di scosse o è una scossa isolata lo possiamo dire solo a posteriori. Bisogna dire che come categoria, quella dei sismologi, siamo molto ignoranti.
Cioè?
Ci sono delle scienze nate guardando le stelle, l’astronomia intendo, che ha migliaia di anni di vita eppure si è sviluppata da quando Galileo ha inventato il cannocchiale e che poi negli ultimi decenni con il telescopio di Hubble ha conosciuto uno sviluppo incredibile. Pensiamo alla cosmofisica che ha fatto balzi in avanti incredibili. Noi sismologi abbiamo avuto i nostri strumenti appena un centinaio di anni fa e questo ha comportato che siamo abbastanza in ritardo. Teniamo anche conto che a fare ricerca in sismologia non c’è lo stesso numero di persone che abbiamo in fisica nucleare o in oncologia per dire due scienze.
Un peccato, visto che l’Italia è territorio sismico.
E’ chiaro che se ci fossero più persone nel settore avremmo più risultati. Qualcosa lo si sta facendo,ma non diamo la colpa all’Italia come si fa sempre. Prendo atto che è molto ragionevole questa situazione in cui come sismologi ci troviamo.
Tornando all’Emilia-Romagna, fino al 2003 la regione era definita a bassissimo rischio sismico, eppure che gli Appennini si sono sempre mossi si sapeva…
Questo è vero, ma il quadro che avevamo quarant’anni fa quando io ho cominciato era estremamente depresso e in questi decenni l’Italia ha fatto passi da gigante. Nella sismologia storica addirittura abbiamo fatto qualcosa di spettacolare. Pensi che, basandomi sulle conoscenze dell’epoca, parlando della Sila quarant’anni fa la definivo una zona praticamente asismica. Invece abbiamo poi scoperto di un terremoto di fine Settecento che aveva raggiunto magnitudo dieci gradi. Qualcuno aveva fatto un errore e lo aveva ipotizzato nel Mar Ionio invece che sulla terra. Questo tipo di errori si sono verificati anche per il parmense, l’Appennino tosco emiliano e la Garfagnana.
Si dice che si sia aperta una faglia di quaranta chilometri che avrebbe tagliato la Val Padana tra Ferrara e Modena: è vero?
Le faglie difficilmente si aprono. Sono delle linee di frattura lungo le quali abbiamo degli scorrimenti. Immaginiamo per capirci due fette di pane, se le tagliamo e le spingiamo con le mani si riesce a farle scivolare una verso l’altra. Immaginiamo di bloccare tutto mettendoci uno stuzzicadenti di traverso; se si continua a spingere possiamo immaginare – se il pane fosse sufficientemente robusto – che prima o poi che questo stuzzicadenti si spezzi. Quando si spezza c’è il terremoto.
Dunque la faglia come superficie di taglio di frattura c’era già.
Certo, difficilmente una faglia si crea ex novo, ma normalmente sono tagli che si riattivano poi si bloccano e fino a quando non si crea uno sforzo sufficiente (le mani che spingono le due fette di pane) e non si accumula sufficiente deformazione per spezzare l’ostacolo questa faglia sta lì immobile. Evidentemente i geologi che hanno studiato la struttura di quell’area hanno trovato questo faglia di debolezza che riesce a resistere agli sforzi che la vogliono far muovere e poi all’improvviso quando “si spezza lo stuzzicadenti” succede il terremoto.
Il terremoto in Emilia è stato definito di tipo compressivo, mentre quello in Abruzzo che era di tipo distensivo. Che significa?
Sì. è stato un terremoto di compressione. Vuol dire che, abbandonata la tendenza dell’Appennino a scorrere verso est, cioè verso l’Adriatico, c’è stata una spinta verso nord, la Val Padana.
E un terremoto distensivo che cosa comporta?
Quello in Abruzzo, ma anche quello in Irpinia, son stati di tipo distensivo. L’Appennino cioè scivola su quello che c’è sotto e quindi nel complesso l’Italia è come se si allungasse. Consideri delle tegole una sull’altra: se quella che sta più in basso se ne va ancora più in basso il tetto si allunga di qualche centimetro. In questo senso abbiamo una distensione di tutta la struttura del tetto. Se l’Appennino tende a spostarsi nell’Adriatico la penisola italiana si allarga distendendosi verso est e ovest.
Quanto tempo ci vorrà adesso perché la faglia si stabilizzi?
L’aspetto statistico ci sta dando qualche soddisfazione nel senso che in qualche modo negli ultimi anni i colleghi che studiano sismologia statistica qualche cosa riescono a capire però è grandissima ancora l’incertezza sia sugli spazi che sui tempi.
Dunque la popolazione dell’Emilia-Romagna dovrà vivere non si sa per quanto tempo sotto questo pericolo di nuove scosse.
Abbiamo degli esempi sia nel passato remoto che in quello più recente. Pensiamo alla grande scossa in Friuli all’inizio di maggio e poi il 15 settembre ci fu una replica molto forte quasi uguale a quella di maggio. In Irpinia il terremoto grande ci fu il 23 novembre però poi l’8 febbraio ci fu una nuova scossa che provocò altri morti a Napoli. Non parliamo della Calabria dove ci furono due terremoti nel 1783 di 10 gradi e poi di 11 gradi, terremoti che – solo a pensarci – vengono i brividi.