Francesco, studente universitario di Ferrara, uno dei tanti protagonisti del dramma che sta vivendo la sua regione. Protagonista sia per il dramma vissuto in prima persona sia per la risposta data a questo dramma con una dedizione gratuita verso il prossimo, verso chi è messo peggio. La notte del 20 maggio Francesco come tutti gli abitanti di Ferrara viene svegliato dalla violenta scossa delle quattro del mattino: con la sua famiglia fugge in strada per un’oretta, poi tornano a casa. Il 29 maggio invece si trova in università, la lezione è appena cominciata e vengono immediatamente fatti sfollare. “Una cosa importante” ha detto nel corso di una conversazione con IlSusidiario.net “che invece molti media non dicono, è che a Ferrara le abitazioni non hanno subito danni. Non ci sono infatti sfollati qui da noi. I danni li hanno subiti chiese ed edifici culturali, ma anche le università e le scuole, dopo le necessarie verifiche, sono state prontamente riaperte”. Una fortuna di questo genere però non basta a Francesco per starsene tranquillo nella sua situazione migliore di quella di tanti altri. “Il giorno dopo la scossa” dice “mi sono messo in contatto con un sacerdote di Ferrara che gestisce la pastorale giovanile per sapere dove ci potesse essere bisogno di aiuto. E lui mi ha indicato Bondeno, un paese a una ventina di chilometri a nord di Ferrara dove ci sono diverse centinaia di sfollati, a metà strada con Finale Emilia, uno dei centri maggiormente colpiti dalle scosse”. E’ l’inizio di una esperienza straordinaria che farà toccare con mano a Francesco una realtà ineludibile: “Il terremoto ha messo in luce un dato di fatto che è emerso in modo evidente. E cioè il modo in cui noi, e intendo sfollati e volontari, siamo fatti, cioè che il nostro bisogno è innanzitutto un bisogno di essere accolti. E ha messo in luce che non ci salviamo da soli, ma abbiamo bisogno di qualcun altro, qualcosa che sia altro da noi. Questo vale per tutti: musulmani, cristiani, non credenti. Ci siamo trovati immersi in una unità impensabile prima di questo dramma”.
Francesco, come è la realtà di Bondeno, la città dove presti servizio come volontario?
A Bondeno non ci sono stati crolli fortunatamente, ma molte abitazioni sono state dichiarate inagibili. Per questo circa trecento persone sono costrette a vivere fuori di casa, sono di fatto sfollati. Molti di questi poi anche se non hanno subito danni strutturali alla casa tanto da non poterci rientrare, sono così spaventati da quanto successo e dalle continue scosse che si rinnovano, da non voler tornare ugualmente in casa.
Cosa ti ha spinto esattamente ad andare lì, quando potevi startene tranquillo a Ferrara, dove non ci sono particolari problemi?
Un ragionamento molto semplice. Anche io avevo avuto paura, e anche molta, per le scosse di terremoto, ma la cosa che mi ha rincuorato è stato pensare che non ero solo, ma avevo degli amici. Questo mi ha fatto venire in mente tutte le volte che ero stato aiutato da qualcuno e guardato in un certo modo per cui il desiderio è stato immediatamente quello di sentire dove ci poteva essere bisogno di aiuto.
E questo posto è stato Bondeno.
Sì, avevo chiamato un sacerdote responsabile della pastorale giovanile di Ferrara per sapere come era la situazione. Sapevo che quasi tutte le chiese avevano chiuso, in tutta la diocesi c’erano solo sette chiese aperte. Lui ci ha suggerito Bondeno, un paese dove si contano trecento sfollati fortunatamente non per crolli di abitazione, ma perché sono stati verificati danni strutturali alle abitazioni. Un paese meno sotto l’attenzione dei mass media.
E lì a Bondeno cosa è successo?
La cosa incredibile e bella è che subito l’emergenza è stata affrontata da volontari. Un giovane di Bondeno, Livio, un ragazzo della parrocchia che non è della protezione civile, appena c’è stato il terremoto insieme a degli scout si è reso disponibile a gestire l’emergenza. Hanno aperto un centro di ricovero nella scuola: dormono nella palestra e nelle aule e alla bocciofila preparano i pasti.
Dunque a Bondeno tutto viene gestito da semplici volontari?
Esattamente. Solo adesso, ma molto a posteriori, anche il comune si è messo a organizzare qualche aiuto. Siamo andati lì una prima volta fondamentalmente per fare compagnia, per giocare coi bambini. A Bondeno ci sono molti extracomunitari tra gli sfollati perché vivono nelle case più malandate e sono stati i primi a essere rimasti fuori. Sono rimasto subito colpito per la grande solidarietà e unità che c’era fra le persone, intendo gli stessi sfollati. Tutti che apparecchiavano, ognuno faceva il proprio, anche i bambini di 4 o 5 anni. Impressionante che nessuno si lamentasse: tutti insieme per la stessa cosa.
Cioè? Spiegaci.
Persone che magari fino al giorno prima non si salutavano neppure, penso al rapporto tra italiani ed extra comunitari. Adesso invece è come se il terremoto avesse fatto riemergere l’io, il modo come noi siamo fatti con questo bisogno imprenscindibile di essere amati e accolti. Tutta questa gente che ha perso tutto almeno temporaneamente e in tanti anche il lavoro, hanno trovato una accoglienza per la loro condizione che li ha risvegliati a rendersi conto che non sono soli. E questo lo abbiamo scoperto anche noi che andiamo lì, la stessa loro identica esigenza. Il terremoto ha messo in luce come noi siamo fatti, cioè che il nostro bisogno è innanzitutto un bisogno di felicità e di essere accolti. Fino a capire che non ci si salva da soli: abbiamo bisogno di qualcun altro, qualcosa che sia altro da noi.
Raccontaci qualche episodio significativo di quello che succede a Bondeno.
Le cose da raccontare sarebbero davvero tante. Penso ad esempio agli extracomunitari che sono rimasti così colpiti da come noi li accogliamo che è come se si fosse risvegliato anche in loro il bisogno di donare la propria vita. C’è una famiglia musulmana ad esempio che tutti i giorni va a prendere a casa sua una signora anziana che non ha parenti e non può muoversi da sola e la porta giù al centro di accoglienza per farle passare il tempo in compagnia degli altri. Poi alla sera sempre questa famiglia di musulmani la riporta a casa sua. E questo accade tutti i giorni.
Un altro esempio?
Una ragazza molto impaurita dal terremoto che era terrorizzata alla sera all’idea che ci potessero essere nuove scosse. Ci ha raccontato come quello che la rassicurava tutte le sere era pensare a un nostro amico di Finale Emilia che aveva deciso di rimanere lì anche se ha l’appartamento universitario a Ferrara. Riconoscere, cioè, che non sei da sola, ma in una compagnia, mi fa contenere la mia paura: la paura non è l’ultima parola. E adesso è lei che fa compagnia a una su vicina ancora più terrorizzata di lei e che è pure incinta.
In conclusione, pensi che anche una volta superata questa emergenza questa unità, questa amicizia con le persone di Bondeno potrà continuare?
Non solo nel futuro ma già adesso. Abbiamo ad esempio deciso di andare tutti a Bondeno a guardare insieme alla gente del posto le partite dei campionati europei. La certezza del futuro è una certezza del presente. Mi sono accorto con stupore come io adesso considero mia questa gente di Bondeno, come loro siano nostri. Proprio per la fede che ho posso dire che questi sfollati sono sempre più miei e io sono sempre più loro.