Farà discutere e aprirà senz’altro polemiche la proposta del ministro della giustizia Paola Severino. Una proposta che vorrebbe i carcerati, i detenuti, inviati a lavorare per aiutare la ricostruzione nelle aree devastate dai terremoti che si sono abbattuti in queste ultime settimane tra Emilia e bassa Lombardia. Parlando durante una visita ufficiale al carcere della Dozza a Bologna, il ministro ha detto che sarebbe il caso di lanciare una idea: “Quella di rendere utile la popolazione carceraria, quella non pericolosa, per i lavori di ripresa del territorio”. In pratica mandare detenuti ad aiutare la ricostruzione delle zone più devastate: “Momenti come questi potrebbero vedere anche parte della popolazione dei detenuti tra i protagonisti di un’esemplare ripresa”. La proposta coinvolgerebbe solo i carcerati detenuti in Emilia-Romagna, ma in realtà il ministro vorrebbe fosse allargata anche a carcerati di altre regioni. Il lavoro carcerario, ha aggiunto Paola Severino, è una risorsa per il detenuto, “un vero modo per portarlo alla risocializzazione e al reinserimento nella società”. Ma il ministro nel lanciare quella che ha definito “piccola idea” è entrata anche nel dettaglio dei numeri. Dal carcere di Bologna, ad esempio, escluderebbe i 101 detenuti in stato di alta sicurezza, i più pericolosi, mentre invece si potrebbero utilizzare 246 tossicodipendenti attualmente rinchiusi in carcere e il 57% dei detenuti extracomunitari che si trovano al Dozza. Oltre a questa idea di cui al momento non si sa se ci siano stati commenti da parte della politica, il ministro ha presentato alcuni provvedimenti per la sicurezza dei detenuti nelle aree colpite dal terremoto. Le celle di ogni carcere infatti vengono lasciate aperte giorno e notte per permettere in caso di siam la fuga. Intanto 350 detenuti saranno trasferiti in altre regioni mentre la polizia penitenziaria riceverà un rinforzo da altre regioni. Tornando alla proposta del ministro Severino di impiegare detenuti nei lavori di soccorso e ricostruzione in Emilia, certamente la sua applicabilità solleverebbe molte domande. Ad esempio come garantire in modo sicuro la sorveglianza dei detenuti che non tentino cioè la fuga durante i lavori in aree difficilmente controllabili e che distoglierebbe comunque in gran numero di agenti delle forze dell’ordine dai loro compiti abituali.
A parte l’immagine che a molti non piacerebbe di associare questo tipo di intervento con le tristi immagini dei lavori forzati in cui per molti anni si sono tenuti i carcerati con l’effetto di uno sfruttamento gratuito della manodopera.