La terra continua a tremare in Emilia-Romagna e lo farà ancora, anche se è impossibile sapere dove e con quale intensità avverrà il prossimo sisma. «La sequenza a cui stiamo assistendo potrebbe durare ancora qualche settimana – spiega Gianluca Valensise, sismologo e dirigente di ricerca dell’INGV, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia a IlSussidiario.net – nella speranza che l’intensità delle scosse possa essere via via sempre minore». Dopo quanto accaduto è quindi normale assistere a numerose repliche successive, «ma prima o poi quest’attività inevitabilmente terminerà, anche se non è possibile dire quando». Secondo gli esperti il sisma in Emilia-Romagna è stato causato dallo spostamento dell’Appennino verso la Pianura Padana. Lo spostamento della catena montuosa verso Nord provoca una compressione sulla valle, ed è proprio questa a generare le deformazioni nel sottosuolo roccioso che a loro volta creano le scosse sismiche e in certe aree anche la liquefazione del suolo. «La direzione media della migrazione dell’Appennino è perpendicolare alla sua direzione, quindi verso Nord-Nordest, puntando alle Alpi», continua a spiegarci Valensise, «ma si tratta di un movimento certamente non sorprendente, noto ormai dagli anni Trenta». Anche secondo Francesco Dramis, docente di Geomorfologia presso il Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università Roma Tre, «il movimento dell’Appennino non è ovviamente un fenomeno cominciato ora, ma è connaturato alla strutturazione stessa della catena montuosa. I processi geologici si svolgono in tempi molto lunghi, nell’ordine di milioni di anni, e in questa zona l’arco Appenninico è soggetto a compressione, una spinta che lo spinge in direzione Nord-Est». L’Appennino viene quindi compresso verso il suo esterno e, nonostante si estenda lentamente e per molto tempo in quella direzione, «la massa in qualche modo resiste. Si arriva però a un certo punto in cui lo sforzo è troppo forte, la massa non resiste più ed ecco che avviene la rottura e il conseguente terremoto». I principali rischi non riguardano però questo spostamento in particolare, sottolinea Gianluca Valensise, perché «in qualsiasi momento, anche mentre stiamo parlando, è comunque in atto una deformazione tettonica».
L’evento che invece potrebbe modificare nuovamente la situazione attuale e generare altri eventuali attività è l’arrivo di un singolo terremoto, che andando ad «acuire gli sforzi nella crosta, potrebbe innescare altri terremoti sulle faglie vicine. Quindi, nonostante i movimenti delle faglie siano noti da tempo, un singolo terremoto potrebbe in realtà cambiare le carte in tavola». Valensise continua a spiegare che i terremoti avvengono sulle faglie e che è ormai dimostrato che dove non ci sono faglie attive non possono esserci terremoti. Riguardo al rischio di vedere spostarsi l’attività sismica in Lombardia, l’esperto dice che «a partire dalla Bassa cremonese, passando per la Bassa bresciana, ci sono faglie attive conosciute da tempo e simili a quelle del terremoto avvenuto in Emilia-Romagna. Si tratta però di faglie che si muovono poco e che raramente generano terremoti notevoli ma, dopo tutto quello che è accaduto nella storia del Paese, è ovvio che non possiamo escludere terremoti anche in quella zona».
Nella serata di ieri sono state registrate nel giro di poche ore tre forti scosse di magnitudo 3.3 e 3.8 gradi, fino a quella delle 21.21 di magnitudo 5.1, avvenuta ad una profondità di 9 chilometri tra Concordia, San Possidonio e Novi di Modena, dove è anche crollata la torre dell’orologio. Altre scosse di magnitudo leggermente superiore a 3 gradi sono state poi registrate durante tutta la notte e nella mattinata di oggi che, come deciso dal Consiglio dei ministri, è giornata di lutto nazionale per ricordare le diciassette vittime del sisma del 29 maggio scorso. «Queste nuove scosse – continua a dirci Valensise – sono il segnale di una nuova evoluzione della sequenza in atto. Un’evoluzione che avviene con repliche anche molto robuste, generate dalla rottura della crosta in porzioni adiacenti a quella che si è rotta nelle scorse settimane. E’ questo che ci fa pensare che potrebbero essercene altre ma, come detto, prima o poi questa attività dovrà finire, anche se non è possibile dire quando».
A provocare il cedimento di molte abitazioni sono stati invece i cosiddetti “vulcani di sabbia”: «A seguito delle compressioni prodotte dall’onda sismica – chiarisce il professor Dramis -, i terreni che contengono acqua e che sono formati da sabbie a un certo punto rompono la struttura e i materiali si liquefanno. Le pressioni possono quindi spingere questi fanghi di acqua e sabbia anche all’esterno attraverso le fratture che si producono sul terreno e questo può produrre delle subsidenze, cioè degli abbassamenti del terreno. Questo avviene semplicemente perché se il materiale esce fuori, significa che qualcosa nel sottosuolo viene a mancare quindi le costruzioni possono risentire notevolmente di queste deformazioni del terreno». Nelle ultime ore, in particolare nella trasmissione Off the Report, si è tentato di mettere in correlazione il terremoto avvenuto nelle scorse settimane con trivellazioni e progetti di depositi di gas nella Pianura padana. Un’ipotesi che il professor Dramis esclude immediatamente: «Non credo proprio che operazioni di estrazione e stoccaggio di gas possano produrre fenomeni del genere. Anche in passato, dopo alcuni terremoti, si parlava spesso di questa possibile conseguenza ma sono dell’idea che si tratti di azioni molto più piccole di un terremoto, che invece al contrario è capace di mettere in moto degli sforzi giganteschi».
(Claudio Perlini)