Caro direttore,
poche cose a livello cinematografico negli ultimi anni mi hanno coinvolto come la visione del Trono di Spade, la serie televisiva targata Hbo che – con un linguaggio a volte crudo e discutibile – riporta in vita un genere, il fantasy, secondo l’intuizione originaria di Tolkien che coglieva in mostri e creature fantastiche lo spazio per una rappresentazione più autentica dell’animo umano e delle sue contraddizioni. Adesso che l’ultima stagione è stata definitivamente archiviata, dopo innumerevoli canzonamenti da parte degli amici per questa mia “strana passione”, vorrei in poche righe provare a descrivere il perché questa produzione è realmente interessante e significativa.
Il Trono di Spade è un gigantesco affresco sulla tossicità del potere e sul valore della libertà. La storia si snoda su tre scenari: il continente immaginario di Westeros, con al centro le due storiche città di Grande Inverno e di Approdo del Re, dove gli uomini combattono una strana guerra iniziata vent’anni prima con lo spodestamento della dinastia allora regnante, i Targaryen, e dove si avvicendano colpi di scena e macabre scelte che portano la società al collasso, intrappolata in una sete di potere che la corrode dal di dentro, vittima delle più efferate ideologie politiche e religiose. Poi c’è Essos, il secondo grande scenario della storia, un continente a oriente di Westeros in cui l’ultima discendente dei Targaryen – Daenerys – si sente investita della missione divina di riportare la giustizia nel mondo, sradicando il male e riconquistando un giorno quel trono sottratto alla sua famiglia.
Infine, a nord di Westeros, si estende una landa desolata e innevata, separata dal sud del continente da una gigantesca barriera costruita dagli uomini per proteggersi da strane minacce che da secoli paiono estinte, ma che potrebbero presto riaffacciarsi all’orizzonte. È qui che Jon Snow, il figlio bastardo di Ned Stark, signore di Grande Inverno chiamato a fare il primo ministro del Regno, si reca per diventare “Guardiano della Notte”, una sorta di ordine monastico col compito di vegliare sui domini degli uomini. In questa sua funzione Jon scopre che, mentre il mondo a sud cade a pezzi, la vera minaccia per il continente sta arrivando da nord dove la Morte ha preso le fattezze di una creatura orrenda, il Re della Notte, che vuole portare l’oscurità su tutta Westeros. Le stagioni passano e i protagonisti si avvicendando fin quando Jon Snow non intuisce il fatto che una tale minaccia, definitiva per il genere umano, può essere combattuta solo insieme, senza inutili divisioni. Apre quindi le porte della barriera di ghiaccio agli uomini che stanno a nord, visti da quelli del sud come dei Bruti (e chiamati proprio con quel nome). Il gesto costa caro a Snow che, per quel motivo, viene prima assassinato e poi riportato in vita da una misteriosa e ambigua sacerdotessa.
Il nuovo Snow decide quindi di aiutare la propria famiglia a riprendersi Grande Inverno, finito nel gorgo mortale dei giochi politici del sud, e a radunare intorno a quella roccaforte l’esercito dei vivi, l’unico esercito che possa vincere il Re della Notte. Spinto da questo motivo, Jon Snow si reca da Daenerys Targaryen, nel frattempo divenuta potentissima signora dell’est, madre di tre draghi e liberatrice di milioni di schiavi in procinto di riprendersi il trono che le spetta di diritto. È a questo punto che la sceneggiatura sperimenta uno dei suoi più traumatici colpi di scena in quanto il fratellastro di Jon Snow, Brandon Stark – dotato di strani poteri divinatori – scopre che Jon in realtà non era figlio di Ned, ma dell’ultimo principe dei Targaryen, e quindi legittimo erede al trono. Da quel momento si capisce che Jon e Daenerys non sono due personaggi, ma due parti della stessa persona: lui, l’uomo disinteressato al potere chiamato dal Destino a salvare il mondo, lei, la donna predestinata dalla sua immensa forza a regnare sul mondo intero. I due si innamorano, scavalcando i confini della morale, e sembrano essere una cosa sola e una forza sola in grado di battere, inaspettatamente, il famigerato Re della Notte. È qui che lo spettatore si disorienta: convinto di aver trovato il cattivo della storia, il Re della Notte, e gli eroi buoni, Jon e Daenerys, si trova davanti all’amara verità di scoprire che, una volta abbattuto il male esterno incarnato nel Re della Notte, il vero male si annida proprio all’interno, in quella pretesa di redenzione che ha reso la Regina dell’Est folle e in delirio di onnipotenza, capace di sterminare l’intera Approdo del Re per affermare la sua pretesa purificatrice. Jon sembra così rimanere come l’unico eroe positivo, il predestinato da sempre al trono, ma il giovane deve fare i conti con la cieca ideologia spazza-corrotti di Daenerys e accettare che la Regina muoia per sempre. Così, affrontando i propri fantasmi interiori, la uccide tra le lacrime, rimanendo l’unico erede al famigerato trono, quello che pare ormai essere il protagonista assoluto.
Ma la vita non funziona in questo modo, quello che siamo non si elimina come se niente fosse: tutto ha un costo. Jon, arrestato per l’assassinio di Daenerys, comprende che quello che ha fatto lo ha cambiato per sempre: il male è dentro di noi e quando lo affrontiamo scopriamo che la storia non ha bisogno di eroi, ma solo di una libertà consapevole, teneramente alla ricerca di una strada e di un perdono. Brandon Stark diventa così il nuovo re e Jon è allontanato di nuovo verso nord, oltre quella barriera dove è chiamato a riconciliarsi con se stesso e a trovare il proprio posto nel mondo. Consapevole che niente di ciò che facciamo salva l’umanità, ma tutto concorre ad un disegno che non è il nostro.
È una storia senza eroi quella del Trono di Spade, con un finale amaro, senza conquiste o conclamate verità che si affermano, ma con infinite strade in cui ognuno è invitato a trovare una parte di sé, imparando a perdonarsi e ad essere semplicemente normali, semplicemente se stessi. Perché l’unico protagonista della Storia è il Destino. Un Destino che, da est a ovest, da nord a sud, ci interpella tutti e ci sfida a essere liberi.