Che cos’è il dolore oggi a L’Aquila? Che cos’è la commozione dell’ultimo saluto a 300 persone, ognuna delle quali è una storia, cioè sentimenti, sogni, speranze? Per me il dolore di questo terremoto è un’immagine che non riesco a togliermi dalla testa.

A causa di una diretta di “Matrix” dal campo, sono stato sui luoghi del terremoto in questi giorni.



Ho risalito prima in macchina poi a piedi via Venti Settembre, nel centro città, ho camminato su quella che è la salita del dolore di oggi, il Golgota dove sono morti in tanti. E davanti alla Casa dello Studente si è materializzato di colpo che cosa è davvero avvenuto.

Quello che le pietre cadute, le case crepate, le macerie, la distruzione fisica non mi avevano detto. Quello che le nostre immagini non possono riprendere. Quello che i tanti articoli non avevano raccontato. Ho incontrato una persona: una donna bionda, alta, immobile.



Impietrita, con uno sguardo intenso e insieme un po’ vuoto, fisso sui Vigili del fuoco distanti al massimo quindici metri. Nessuno accanto, tutti in silenzio. A pochi metri i giornalisti delle più grandi testate del mondo: Il Corriere della Sera, la Cnn, la Reuters. Chi è quella donna? Chiedo a un collega.

E’ la mamma di uno là sotto, mi dice a bassa voce un collega. Il suo è un dolore così forte ed evidente che nessun cronista, per quanto cinico, si sente di violare. Eppure non ci sono proprio colleghi di primo pelo. Riconosco diversi giornalisti che erano già in Irpinia, poi a Stava, ad Assisi ma anche in Irak o in Kossovo. Ma la morte è una cosa seria e la tragedia dell’Aquila non è seconda a nessuna di queste altre drammatiche storie.



Mentre ero lì, all’Aquila, avevo tenuto il volto di quella donna nel cuore tutto il tempo, sperando anch’io in un angolo della testa che ci fosse la buona notizia che attendevo in ogni momento. Invece è arrivata la notizia che il comandante dei Vigili del fuoco, capo del cantiere, aveva deciso in via Venti Settembre di buttare giù quel maledetto edificio. Per i quattro sotto non c’erano più speranze. E i genitori avevano dato il loro assenso per la demolizione.

Così i funerali di oggi, funerali solenni in un giorno già triste e di riflessione come il Venerdì Santo, sono per me il ricordo di quel volto, di quello sguardo, di quella pietrosa dignità. Che, credo, contenesse anche una preghiera. Certo un grido umano, una tensione di domanda che sprigionava energia più che disperazione. L’umanità oggi ci chiama a partecipare a questo immenso dolore, che alla fine i cristiani possono guardare in faccia e chiamare con il nome vero: morte.

Mentre molti preferiscono evitare rifugiandosi nella rabbia contro chi sapeva, chi non ha fatto, chi avrebbe dovuto. Torna, è vero, la drammatica domanda di Gesù Cristo dalla croce. “Perché?” E torna la risposta: “Sia fatta la tua volontà”.

In un mistero che non censura niente, che non toglie alcun elemento e che tuttavia perdona tutto. Che spinge all’azione perché non accada mai più, soprattutto nella storia del nostro Paese. Ma che ha un orizzonte ultimo di speranza, per chi sa davvero,oggi sul Golgota, guardare a quella Croce. Più reale che mai.

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