«L’Aquila anche se ferita tornerà a volare». E vola l’abito bianco del Papa in un giorno grigio di pioggia e di vento. Fragile, leggero, squassato dal dolore e dal ricordo. Ma anche dolcissimo Gesù in terra. Un padre che ha portato speranza, come ha detto il sindaco Massimo Cialente. Benedetto XVI è stato tutto questo in un giorno che resterà memorabile su questa terra martoriata d’Abruzzo.
È arrivato in macchina, in ritardo. Il cattivo tempo ha fermato l’elicottero e questa circostanza non ha fatto che sottolineare l’umile operaio della vigna del Signore, come si chiamò Ratzinger nel primo giorno da Papa. Un operaio che ha risalito via XX Settembre e si è incontrato con dei giovani davanti alla Casa dello Studente, tappa del disastro e del dolore. Un dolore che trova nelle sue parole, prima che nella sua personale compassione, un senso, un perché.
Il suo è un messaggio semplice. Come cristiani. «Dobbiamo chiederci – ha detto il Papa – : “Che cosa vuole dirci il Signore attraverso questo triste evento?”. Abbiamo vissuto la Pasqua confrontandoci con questo trauma, interrogando la Parola di Dio e ricevendone nuova luce. Abbiamo celebrato la morte e la risurrezione di Cristo portando nella mente e nel cuore il vostro dolore, pregando perché non venisse meno nelle persone colpite la fiducia in Dio e la speranza».
Croce e speranza fra le macerie e le tende. Sotto la pioggia e di fronte al vento di un’avversità che a tratti sembra sovrastare la scena, sommergere con la sua negatività di morte l’orizzonte. Eppure Cristo c’è, attraverso questo anziano professore tedesco divenuto il successore di Pietro. C’è oggi, qui e ora.
Ma c’è un messaggio anche per i cittadini, per la comunità civile. Anche per chi non crede. «Come comunità civile – ha insistito – occorre fare un serio esame di coscienza, affinché il livello delle responsabilità, in ogni momento, mai venga meno». Ci vorranno «case solide e belle», costruite a regola d’arte. Un messaggio di responsabilità, una speranza tutta terrena e razionale che tragedie di questo tipo non accadano mai più.
Ma per chi conosce la storia dell’Aquila e la sua spiritualità, oggi è accaduto qualcosa che rappresenta un piccolo grande evento nella storia della Chiesa. Benedetto XVI ha portato un dono nella Basilica di Collemaggio, dove sono conservate le spoglie di Celestino V, suo predecessore. Un dono molto significativo, il pallio papale. Una specie di riabilitazione postuma da Pietro a Pietro, nei confronti di un personaggio straordinario della storia della Chiesa. Quel Pietro da Morrone, monaco abruzzese in fama di santità, che il potere del mondo e la Provvidenza volle sul trono papale in un momento difficile per la Chiesa di Cristo e che qui riposa. Colui che secondo Dante «fe’ il gran rifiuto», unico pontefice della storia a dimettersi. Ma anche l’inventore della Perdonanza, grande festa anticipatrice del Giubileo sulla scia di San Francesco.
Benedetto ha reso onore a Celestino e attraverso di lui all’identità di un popolo e alla sua religiosità. A quella Grazia particolare che i Celestini rappresentarono, fino all’abolizione dell’ordine monastico. Tanto amato da Bonaventura e tanto equivocato dalle varie profezie confusamente spiritualiste di oggi.
Grazie Papa per il contrastato e difficile e umilissimo viaggio di ieri sulle tracce del dolore di un popolo.