Nella bella lettera scritta da Concetta, la madre di Sarah Scazzi, indirizzata “Ai colpevoli” e pubblicata da Matrix, c’è un esplicito riferimento a Geova, alla fede nella resurrezione della carne, ad una “ira” ed una “vendetta” divine che finiranno per far quadrare i conti di questa vicenda.
La circostanza colpisce perché in tanti ritratti, anche malevoli, della mamma della vittima, scritti in questi due mesi, la questione della sua personale fede e dell’appartenenza ai Testimoni di Geova è sempre stata vista con disprezzo e a volte con sospetto. E invece ancora una volta il fattore religioso torna con prepotenza.
Comunque la si pensi, uno dei segreti di questa donna, travolta da un destino amarissimo, è la speranza che la morte della figlia non sia l’ultima parola. Concetta pensa di “poter riabbracciare la figlia” e questa prospettiva appare di colpo più umana di tante altre. E la lettera di Concetta non è neanche l’unico ingresso della religione in questo caso.
Dagli interrogatori del reo confesso, Michele Misseri, scopriamo che una delle molle fondamentali fatta scattare dagli inquirenti per arrivare alla sua confessione è costituita proprio dal pensiero di una “degna sepoltura” della povera Sarah. Una “bambina” che non aveva ricevuto il Battesimo della Chiesa cattolica e che ora rischiava di non essere neanche ricordata… Il reo confesso spiegherà poi di essere andato ben tre volte in quaranta giorni a pregare sul luogo dove aveva sepolto il cadavere.
La coscienza dello zio si risveglia, alla fine di un lungo interrogatorio, perché i Pm sono abilissimi nel rimettere al centro della scena e dell’attenzione proprio lei, la vittima. La "disgrazia" dell’omicidio appare di colpo un orrendo peccato che non sommerge completamente l’umanità del colpevole, come se gli investigatori si appellassero ad un’umanità che nonostante tutto sopravvive anche nel peggiore assassino di una ragazza quindicenne.
In molti ritengono che l’enorme interesse mediatico suscitato da questo caso sia oggettivamente morboso e persino apocalitticamente diabolico, nel senso che il Potere del mondo spesso sembra esaltare il Male attraverso queste vicende. E tuttavia, come accade in ogni cosa umana, anche troppo umana come qui, viene da pensare che manchino semmai coloro che sappiano indicare proprio i lati più intensamente veri e persino religiosi di questa tragedia. Manca la giusta sottolineatura della realtà, quando impone domande ultime sull’uomo e sul suo destino.
Coi miei colleghi più giovani mi è capitato spesso, in questi tumultuosi giorni da cronista, di ricordare la vicenda di Vermicino e della tragica fine di Alfredino Rampi. Un remoto evento di cronaca a grande impatto mediatico, per certi versi simile alla storia di Sarah. In quell’Italia però c’era un giornale, Il Sabato, dove un grande intellettuale come Giovanni Testori poteva ricondurre le pulsioni, i sentimenti, le impressioni di quelle ore in un memorabile giudizio umano e cristiano.
Nell’Italia di oggi non ci sono più personaggi così. I nostri, anche bravi, scrittori e intellettuali non si sono misurati con questo fatto. Il mondo cattolico ha avuto un riflesso di orrore, giusto e moralistico insieme. Corriere e Repubblica non hanno mai dedicato un grande articolo di fondo a questa storia. Non c’è più Testori e non c’è più neanche Pasolini. Roberto Saviano e Umberto Eco, per fare due nomi, non si sono sporcati le mani con questa storia. Eppure ci vorrebbe che qualcuno ci provasse.