Sarah Scazzi è stata due volte vittima. Due volte perché oltre alla ferocia di uno zio mostro che l’ha uccisa e stuprata, c’è stata la continua morbosa attenzione dei mass media, durata 42 giorni. Ogni tanto la Cronaca è un luogo di terribili nefandezze, in cui il nostro mestiere mostra il suo lato più osceno. E la cosa si scatena soprattutto quando soggetti dei grandi fatti di cronaca sono persone deboli, culturalmente soprattutto. Incapaci di difendersi. Con la povera Sarah è successo anche questo. A quale altra persona sono stati pubblicati i diari di scuola, dalle frasi da adolescente ai disegnini?



A chi è capitato vedere pubblicate le confessioni private fatte con le amiche? Frasi del tipo. “Ho litigato con mia madre, mi mancano mio fratello e mio padre”? E poi i differenti profili di Facebook, proposti raccontati, analizzati come terribili prove del reato, diventati subito terreno di congetture maligne. Gli adulti conosciuti in chat, la sua passione per Marilyn Manson, la sua cameretta ripresa in ogni angolo e mostrata nei collegamenti tv… Non ci è stato risparmiato niente. Non le è stato risparmiato niente.



Invece Sarah non aveva un amante trentenne, non era scappata al Nord in “fuga volontaria”, non si era affiliata segretamente alla setta satanica del luogo. Quella sua vita di ragazza di oggi, che frequenta Facebook e Internet, anche se la mamma non le ha dato il permesso di avere un computer in casa, è una vita normale, come quella di tanti nostri figli e amici. Una vita che avrebbe dovuto rimanere custodita, protetta e non esposta alle mille insinuazioni malevole dei retroscena quasi sempre inventati. Frutto della fantasia (anche banale) di tanti colleghi.

 

Stringe il cuore due volte la storia di Sarah. Perché è un esempio da manuale di privacy violata di una ragazzina, che faceva le cose che fanno tanti adolescenti. Viveva di sogni, si sfogava con gli amici in Internet e quei suoi pensieri sono diventati pubblici e anzi sono stati usati. I cronisti hanno intervistato persino una sua simpatia scolastica, un ragazzino ripreso solo dai jeans sdruciti. “Sì mi veniva dietro”.



 

Penso con terrore se una volta toccasse a noi avere contatti con i cronisti, magari ai nostri figli che scrivono su Facebook e lasciano le loro foto e le loro sciocchezze dappertutto e non sanno che un giorno potrebbe esserci l’orco dell’interesse pubblico che mangia in due bocconi la loro vita, chiudendo lo spinoso caso di cronaca nera, con quattro supposizioni da strapazzo.

 

Ma che razza di giornalismo si pratica oggi in Italia? Non ci sarebbe oggi da vergognarsi e da chiedere scusa? Oggi l’ha fatto Studio Aperto, diretto da Giovanni Toti. Rendiamogli merito. Sarebbe bello che questo diventasse un coro: “Scusa Sarah”. Il mondo che hai lasciato, troppo presto, era molto brutto.

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