La notizia è questa: la polizia di Christchurch, terza città della Nuova Zelanda per abitanti, ha comunicato con soddisfazione il calo della criminalità in un’area pedonale commerciale, dove da un anno vengono diffuse le musiche di Wolfgang Amadeus Mozart. Sinfonie, sonate da pianoforte e opere liriche.
Episodio sorprendente, che però ha precedenti illustri. Tutti sanno che le mucche del Wisconsin producono quasi l’8% in più di latte, ascoltando le musiche del genio di Salisburgo (Alessandro Baricco vi ha dedicato il titolo di un suo bel saggio). L’Università di Tel Aviv ha dimostrato che i neonati prematuri crescono meglio e con maggiore tranquillità ascoltando Mozart. C’è un viticoltore del senese, Carlo Cignozzi, che fa ascoltare la musica di Amadeus alle sue viti creando un Brunello di Montalcino da sogno. Oliver Sacks, un grande neurologo con la passione della letteratura, ha scritto un bellissimo saggio, Musicofilia, dove elenca le qualità terapeutiche di Mozart dal punto di vista delle neuroscienze. E tuttavia queste notizie ci stupiscono sempre, almeno quanto le note del compositore settecentesco.
Che cosa davvero avrà questa straordinaria musica, fatta di grazia terrena e di Grazia invisibile? Recentemente Massimo Cacciari, in un incontro al Teatro dell’Opera di Roma, ha detto: “La musica è una forma di comunicazione in un’epoca in cui le parole sono esauste, sfinite”. Intuizione modernissima sull’uomo contemporaneo, al quale le parole non bastano più, perché non riescono a raggiungere l’anima. La musica invece, e quella del grande Amadeus in modo particolare, ha il merito, se ascoltata, di chiarificare i moti del nostro cuore. Uno spazio di riflessione e di commozione che rappresenta una pausa felice nella tumultuosa attività della nostra esistenza.
Prendete le opere per pianoforte scritte nell’estate del 1778, l’estate parigina in cui la madre di Wolfgang si ammalerà e morirà. Come le dodici variazioni in do maggiore sulla canzone francese “Ah, vous dirai-je Maman”, tentativo di rinverdire i fasti di un bambino prodigio che la stupida Parigi di Maria Antonietta aveva quasi dimenticato. Quale bambino non conosce quelle note? E quanto ognuno di noi torna bambino ascoltando quella sonata?
Oppure pensate alla “Marcia Turca”, composta negli stessi giorni, per entrare nei salotti della nobiltà in cui andava di moda la mania delle cose arabe e turche… Nell’ultimo movimento c’è una nostalgia, una voglia di tornare a casa, che fa sempre piangere. Da bambino mia nonna, che era stata concertista dei primi del Novecento, la suonava al piano e nel finale mia madre si commuoveva sempre… A volte davvero, neozelandesi a parte, mi chiedo: che cosa sarebbe la nostra vita senza Mozart? Domanda alla quale il grande Eric Emmanuel Schmitt ha risposto con un libretto da non perdere (“La mia vita con Mozart”).
Ma se devo dire qual è il pezzo che oggi, da adulto, mi cura l’anima, come può accadere alle mucche statunitensi o ai malviventi dell’emisfero australe o ai vitigni senesi, è sicuramente il KV466, il concerto numero 20 in re minore per pianoforte e orchestra. Prima performance a pagamento della vita di Amadeus, febbraio 1785 a Vienna. Ascoltandola, ogni cosa torna a posto nell’architettura della vita, la domanda di assoluto ci investe e la realtà che ci circonda, l’acqua in cui viviamo (per dirla con David Foster Wallace) diventa “molto utile et humile et pretiosa et casta”, come nel primo italiano di San Francesco d’Assisi. Dopo, pregare è più facile.