Una tragedia familiare. Il padre, carabiniere, ha ucciso la figlia 13enne e gravemente ferito l’altra figlia, 15enne, al termine di una violenta lite. E poi si è tolto lui stesso la vita. È accaduto a Subiaco, non lontano da Roma.

La storia è terribile perché alla base del litigio degenerato in una strage ci sarebbe un violento scontro sull’utilizzo del computer da parte delle ragazze e in particolare sulle loro pagine di Facebook. Dal luogo di lavoro il padre avrebbe letto qualcosa sulle pagine del social network che ha scatenato una reazione durissima, facendogli mettere mano alla pistola. Raccontano i colleghi che era ossessionato dalla possibilità che le figlie chattassero e fossero contattate da sconosciuti.

L’episodio, nella sua tragicità, ricorda i sospetti della madre di Sarah Scazzi, che a lungo ha attribuito al misterioso mondo di Internet e del computer la scomparsa della figlia, che era caduta invece in una trappola familiare.

Tempo fa uno scrittore di successo come Alessandro Baricco ha provato a ragionare su quelli che lui aveva chiamato i “barbari”, intendendo con questo termine proprio la diversa attitudine delle nuove generazioni. Baricco ha ragione: fra i miei figli e me esiste un burrone sociale e culturale molto più largo e profondo di quello che mi divideva da mio padre e anche da mio nonno.

Un burrone costituito anche dalle nuove tecnologie, dal loro utilizzo immediato e adolescenziale, da un diverso senso della propria privacy e del proprio pudore. Questo non significa che i nostri figli siano barbari nel senso di una loro colpa, anzi semmai sono portatori di una vitalità primordiale e in certo qual senso necessaria alla prosecuzione della nostra civiltà. E tuttavia la discussione aperta da Baricco ha avuta poca fortuna, quasi che ci si vergognasse a toccare il tema, ad ammettere la barbarie. A ragionare su una realtà scomoda.

La tragedia di Subiaco riporta la questione a un livello davvero basilare. Non è la pistola che addomestica il computer. Anche se sarebbe stato meglio scaricare le pallottole d’ordinanza su un monitor invece che sulle persone. Tocca alla cultura conoscere e comprendere, metabolizzare il mondo in cui viviamo, Facebook compreso. Computer compreso. È una tale banalità ripeterselo, che viene quasi da vergognarsi. Eppure il nostro Paese è ancora teatro di episodi estremi di questo tipo.

 

Evidenze malate di una realtà sociale molto diffusa, dove dal rapporto genitori-figli è stato spesso censurato l’aspetto educativo, dove il dialogo e la finta parità hanno sostituito l’esempio e il vero rispetto della libertà dell’altro. I “bimbi minchia” (per usare un’espressione gergale di Internet, un’espressione barbara) che hanno un rapporto poco sano con Facebook o col computer sono spesso figli di Peter Pan irresponsabili, di madri tanto apprensive quanto infantili, di genitori che non capiscono e vivono di ansie. E che però mettono mano al portafoglio per soddisfare ogni esigenza. L’emergenza educativa è anche questo.