Adesso si sono finalmente riabbracciati. Nella luce dell’aldilà che tanto inquieta in questo strano periodo di inizio decennio. Si sono certamente salutati e riconosciuti Alfredino e Isidoro, dopo essersi appena sfiorati vent’anni fa.
La parola chiave per far scattare la memoria e riportare le emozioni a quel giugno del 1981 è Vermicino. Un bambino di 6 anni, Alfredo Rampi, era caduto in un pozzo, una maledetta cavità, in un paese fuori Roma. Per tre giorni il bimbo sopravvisse e per tre giorni udimmo la sua voce, il suo respiro e assistemmo ai disperati tentativi dei Vigili del Fuoco di salvarlo.
Il tutto avvenne in diretta, forse per la prima volta in Italia in modo così cospicuo. I primi a farci entrare nel tunnel di quella storia, che sconvolse il nostro Paese, furono i colleghi cronisti del Gr Rai. Loro calarono un microfono nel pozzo, aprendo una diretta senza fine. Ansiogena, vera, drammatica.
Persino l’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, non resistette e andò sul posto, di persona, camminando agitato sulla bocca del pozzo. L’uomo che è morto sabato scorso all’età di 81 anni si conquistò la scena alla sera del secondo giorno di tentativi, quando già la macchina dei soccorsi ufficiali si era rivelata incapace di assicurare a tutti, anzitutto ai genitori di Alfredino, il lieto fine.
Si chiamava Isidoro Mirabella, veniva dal vicino paese di Mentana ed era soprannominato l’Uomo Ragno. Chi ha in mente quei giorni lo ricorderà, con quel nome da eroe dei fumetti, l’età già avanzata, e tuttavia l’esperienza che rassicurava, il corpo esile, sottile, capace di infilarsi in quel buco nero. Il vecchio e il bambino.
L’extra testo, si direbbe con un termine caro alla linguistica, di quella tragedia vissuta collettivamente era un’Italia diversa da quella di oggi. L’Italia di Isidoro era anch’essa fragile, provata da tanti anni di violenza e segnata da una lunga crisi, ma aveva voglia di uscire da quel maledetto pozzo, anche quando il potere aveva deciso di ignorarlo, di cancellare ogni speranza.
Giovanni Testori scrisse un memorabile articolo per Il Sabato su quella storia, oggi rintracciabile nel bel libro della Rizzoli La maestà della vita in cui dava una chiave di lettura meravigliosa anche di quella spontanea generosità. Eccone un passaggio: “Tutto nei soccorsi tentati attorno al pozzo di Vermicino è risultato casuale; e questo tanto più, quanto più proveniva dagli organi costituiti; dagli organi, dunque, del potere. Feriti e come ammutoliti da quella disumana casualità, si sono mossi alcuni uomini che, di colpo o, forse, per quotidiana convinzione, rivelarono a se stessi e agli altri l’enormità, la grandezza e la totalità della vita; ed eccoli, allora, pronti a dare le loro, di vite, per salvare quella del piccolo, implorante fratello…”.
Isidoro Mirabella, vissute alcune trepidanti ore da Eroe di Vermicino, tornò nella sua modesta casa di Mentana, dove viveva, negli ultimi anni, della sola pensione minima. Col profondo rammarico di non essere riuscito a riportare a casa quel bambino. Forse ancora con la frustrazione di aver fallito per pochi centimetri. Ma forse con la coscienza che il grande Testori seppe descrivere così bene allora: l’affermazione semplice del valore della vita, in un gesto di grande generosità.
Tanto che Mirabella ha ben saputo vivere per altri 20 anni, lontano dai riflettori, dimentico della enorme fama che i mass media ti possono dare e anche togliere, con grande violenza e invadenza. Oggi il modesto volontario del giugno 1981 si è ritrovato con quel “piccolo, implorante fratello” in una dimensione diversa e perenne.Come si fa a non credere, o almeno sperare, nel Paradiso?