La messa domenicale di Monterosso (la perla delle Cinque Terre) è quella in cui la fede è posta a dura prova. Nella terra dell’alluvione, dei morti e dei dispersi (ieri è stato finalmente trovato il corpo del volontario Sandro Usai portato via dalle acque) è stata una domenica di grandi domande. Il cristianesimo ha questo di bello rispetto alle altre religioni. Non fa finta, non si astrae, non scappa dalla realtà. Anche quando la realtà significa morte e distruzione, dolore e strage. Non ci sono ragioni che possano spiegare fino in fondo la catastrofe che ha colpito questo territorio fra l’estremo levante ligure e l’inizio della Toscana. Anche se la cultura in cui siamo immersi, quella della società opulenta e consumistica, che accomuna sovente destra e sinistra, ci fa credere che il limite non esista, che la morte non ci sia, che del dolore sia meglio non parlare. E tuttavia essere oggi vicino alle popolazioni colpite non vuol dire solo pregare, domandare un senso a Dio di questa tragedia. E neanche solo buttarsi a capofitto nella solidarietà, come pure è sacrosanto, come fanno i frati cappuccini e il parroco di Monterosso, cui va tutto il nostro affetto e sostegno. Pregare e donare aiuto sono cose addirittura necessarie, ma non sono sufficienti perché il nostro senso di giustizia ci chiede di cercare di capire perché, come sia possibile che cose simili avvengano. E, ognuno nel proprio ambito, cercare di impedire che si ripetano.
Chi scrive ha cominciato a seguire tragedie di questo tipo dall’inizio della propria professione. Andai per il settimanale Il Sabato nel 1985 in Val di Stava, ma è stato solo, purtroppo, la prima tragedia di fango della mia carriera. Lassù c’era un impianto in alta quota, il processo durò anni… Una catastrofe naturale, è vero, ma la mano dell’uomo è spesso, quasi sempre, una concausa. Accertata dopo anni, senza vera giustizia. L’uomo modifica la natura, e questo è giusto, ma spesso non la rispetta e la violenta, creando disastri terribili. In particolare, in questo caso in cui sono state colpite la Val di Vara, le Cinque Terre e la Lunigiana, ci sono alcune domande che è legittimo porsi.
Primo. La manutenzione dei fiumi e del Parco sono stati fatti a regola d’arte? Secondo. È vero che è stato spostato più vicino al corso dei fiumi il permesso di edificabilità della Regione Liguria? Terzo. Perché gli amministratori locali non hanno dato l’allarme dopo l’allerta della Protezione Civile? È vero che diversi Comuni della zona non hanno ancora piano di evacuazione? Quarto. È vero che la Diga Rocchetta che regola il flusso del torrente Teglia, affluente del Magra, ha aperto tutte le saracinesche poco prima dell’ondata che ha investito Aulla e la Lunigiana? Quinto. È vero che la provincia di Massa non aveva reso agibili alcune strade (danneggiate per frane) che avrebbero dovuto collegare il paese di Mulazzo?
Non sono quesiti inutili e anzi il solo formularli ci lascia a disagio, tanto gravi sarebbero le conseguenze di negligenze ed errori da parte di autorità pubbliche locali e nazionali.