Sono passati dieci anni da quando Erika De Nardo, insieme a Omar Favaro, uccise la mamma e il fratello di 11 anni. Era il 21 febbraio del 2001 e, come capita ormai spesso nei giornali, sono iniziate le commemorazioni. Omar, da un anno circa, è in libertà. Ne abbiamo scritto qui allora. Erika invece è ancora detenuta. Oggi ha 27 anni, si è laureata in Filosofia già due anni fa, argomentando su Socrate e la verità.



Cinque anni fa la libertà non le fu concessa “perché non appare ravveduta”. Fra dodici mesi però uscirà. A quel punto i pareri non conteranno più, neanche quello degli psicologi, che pure l’hanno studiata e curata in tutto questo tempo. Suo padre, l’ingegner De Nardo, continua a combattere perché la propria figlia sia dimenticata e si reinserisca. Lo fa con i mezzi che la Legge gli offre e rimanendo chiuso nel suo silenzio con i mass media, coerente con l’atteggiamento assunto poche ore dopo la scoperta dell’orrore.



Di Erika invece sappiamo attraverso Radio Carcere, i racconti dei suoi corrispondenti, i suoi presunti fidanzati (Omar non vuole più saperne di lei). Di cui uno, pluri intervistato in tv, e poi morto tragicamente in un incidente. Sappiamo, ma poco, e non è giusto giudicare una persona sulla base di dati non certi. Le domande che però Erika evoca riguardano il suo ravvedimento, il suo pentimento, la sua elaborazione del lutto. L’omicidio della mamma e del fratello peserebbero come macigni sull’anima di chiunque.

Come hanno modificato lo sviluppo di questa giovane donna? Che conti ha fatto, in questi dieci anni, con quell’orrore? Dal loro racconto, registrato nei colloqui con i periti psichiatrici e trasmesso in una puntata di Matrix di circa due anni fa, ad esempio emergeva un consumo forsennato delle canne. Quelle stesse canne che per certa pubblicistica permissivista sarebbero uguali ad un bicchiere di vino. In quel caso, nella terribile mattanza di Novi Ligure, le canne pesarono moltissimo e in modo certo.

Così è stato fondamentale, per i due fidanzatini, percepire la madre di lei come freno realistico alle loro ambizioni di vita comune, oggettivamente sproporzionate. In quell’odio, poi allargato al fratellino, c’è forse la chiave del movente. Tutto questo però ci lascia un grande disagio. Avrà incontrato Erika qualcuno in carcere che le ha offerto una vita diversa, ravveduta nei fatti, che si è accostato a lei perdonandola nel cuore? Che le ha voluto bene, oltre quel padre affettuoso e premuroso che è sempre andato a trovarla?

Oppure lei è stata percepita come un capo branco in prigione, una specie di eroina del male e questa stima diabolica l’ha sostenuta? Il tempo non sempre passa con profitto. La giustizia terrena sconta la pena, non è detto che cancelli la colpa. Anche se Erika De Nardo, soprattutto Erika, avrebbe bisogno di questa cancellazione.