Elisa non ha visto l’alba, forse neanche l’aurora. È morta di freddo, finita in un posto che non conosceva e dove non voleva andare. Il mistero sulla sua morte, davvero orribile, non ha grande interesse per i mass media. È una storia brutta e cattiva. Eppure ci lascia un profondo disagio e un’enorme frustrazione. Può una ragazza di 25 anni finire così, in un Paese civilizzato e moderno come dovrebbe essere il nostro? Il suo calvario finale, così com’è stato ricostruito da coloro che indagano, ha qualcosa dell’incubo.
Prima la ricerca della droga insieme ad un’amica, il contatto con uno spacciatore, una sosta da un benzinaio che offre anche da bere superalcolici, un incidente stradale. Poi, mentre l’amica compila il modulo della constatazione amichevole, Elisa riparte. La febbre del sabato sera diventa fuga paranoica, suona ad un paio di case, dove purtroppo non si ferma, telefona al 118, poi ai Carabinieri. Dice di essersi persa, di essere stata violentata… Ma non la trovano. È finita in un posto maledetto, non lontano da Perugia, che si chiama Casa del Diavolo. Cade in un torrente, poi torna a riva, si toglie il maglione bagnato ma non sopravvive al freddo della notte. L’ultima ipotesi che hanno ora gli inquirenti è che sia stata ingannata sulla droga, le avrebbero dato polvere sintetica invece di eroina. La violenza non ci sarebbe stata, secondo l’autopsia.
Storia agra, che ci comunica la tremenda estraneità in cui può finire l’esistenza di tutti noi, in primo luogo dei nostri giovani. Non c’è stato nessuno che potesse aiutare Elisa, sottrarla dal suo spaventoso sbandamento di un sabato sera di provincia. Lo sballo come abitudine consolidata, l’whisky con l’amica, la voglia di andare a ballare… Ma che razza di divertimento offre la nostra società? Soprattutto non c’è stato nessuno che potesse quantomeno leggere nel suo sbandamento il pericolo mortale che esso poteva rappresentare. Estraneità, incomprensione, timore forse di finire in qualche guaio… Elisa è morta di freddo, del freddo assoluto che circonda le nostre vite solitarie, del freddo assassino tipico del mondo orribile che abbiamo costruito, senza il caldo dell’amore, dell’accoglienza, della comprensione.
Elisa è morta di freddo come i barboni delle stazioni delle metropoli. Come loro, anche lei ad un certo punto è diventata invisibile a chi incontrava. Nessuno più ha voluto o potuto incrociare i suoi occhi.