Lampedusa è uno scoglio nel mare blu là dov’è già quasi africano. E’ un posto bellissimo, il cui mare (grazie ai suoi fondali) riempie gli occhi al meno esperto dei sub. Stringe il cuore in questi giorni nel vedere che è diventata una discarica di uomini e cose. Violentata dalla storia, invasa da un popolo di disperati in fuga, che approdano a questo “mattone” in mezzo al mare come se arrivassero alla meta tanto agognata: l’Italia, l’Europa, la civiltà e il futuro. Sconforta anche la reazione dei nostri connazionali, divisi fra quelli che vorrebbero rimandare a casa i tunisini e chi fa finta non sia un’emergenza, in nome del buonismo.
La logica di parte per una volta dovrebbe arrestarsi. E il tema, il tema vero, dovrebbe essere costituito dal destino di questi uomini (molti giovani e giovanissimi) che vogliono una vita migliore. Nel Nord Africa che hanno lasciato non ci sono condizioni di vita e di lavoro, almeno per un po’, che possano suscitare una speranza.
E comunque sia, per una serie di ragioni, oggi loro sono qui, da noi e continuano ad arrivare ad un ritmo notevole. Il nostro ministro degli Interni ha detto che l’anno scorso approdarono in Italia 25 tunisini, oggi siamo già oltre 15mila.
Ci sono polemiche, proteste dei cittadini di Lampedusa e di chi si vede sorgere accanto le tendopoli, accordi con gli altri Paesi per cercare di fermare il flusso… Manca, per ora, però la carità verso questa gente. Ci sono singoli episodi bellissimi, c’è il mobilitarsi della parrocchia di Lampedusa, della Caritas, come ha spiegato sui questo sito il responsabile. Ma al di là del giusto richiamo dei Vescovi, l’Italia mostra una mancanza di solidarietà preoccupante. Nell’emergenza poi c’è un’emergenza particolare: quella dei minori. Una giornalista di Roma arrivata, a Lampedusa a coprire questo evento, ha deciso di prendersi in carico un ragazzo di 13 anni, Khaled.
Lo ha seguito, ha constatato che rischiava di finire risucchiato in un gorgo di noia fatto di fumo e di videopoker, ed è riuscita a portarlo a casa sua, in affidamento, a Roma.
Ma quanti Khaled ci sono oggi a Lampedusa? E quanti sono già a Ventimiglia, nei bivacchi improvvisati, nei giardinetti pubblici? Sono là perché sperano di entrare in Francia, ma quando vengono intercettati, i Gendarmi li respingono. In Italia, non in Tunisia. L’Europa ci rimette di fronte alle nostre responsabilità.
Le consuete lotte politiche di potere non possono però essere un alibi. Quegli uomini, quei ragazzi, quei bambini che arrivano sono una grande domanda. Per ognuno di noi e per le istituzioni. Una domanda di assistenza, di bisogno immediato, di solidarietà. Una domanda che non può essere liquidata, distogliendo lo sguardo.