Ironia e laicità. Non so più quante volte ho incontrato, intervistato e commentato Mino Martinazzoli, ultimo vero segretario della Democrazia Cristiana, che ieri ci ha lasciato a quasi 80 anni. Era un piacere parlare con lui di politica, e non solo di quella. E sono queste due parole, ironia e laicità, che più raccontano la sua particolare personalità. Ironia perché amava l’umorismo quando era distacco, riflessione, anti retorica. Laicità perché delle storiche caratteristiche del vero democristiano era questa quella cui teneva di più e che lo teneva culturalmente e idealmente attaccato ad Alcide De Gasperi. Cattolico democratico, infatti, si distingueva spesso anche dai suoi compagni di area (Martinazzoli non è mai stato un uomo di corrente) perché temeva moltissimo il fondamentalismo in politica. Anche nella versione neo-tecnocratica della Base (come in De Mita) o in quella neo giacobina degli ultimi dossettiani (come in Rosi Bindi).
Viveva il dramma vero del cattolico che si deve confrontare con la storia e con le logiche del potere e del Palazzo, senza mai però perdere di vista l’aspirazione ideale, la spinta quasi utopica ad una visione più grande delle vicende contingenti. “Si parla troppo di etica, a me basterebbe un’etichetta”, diceva scherzando negli anni del tracollo morale della classe dirigente che gli lasciò alla fine la guida del partito, essendo lui negli anni di Tangentopoli uno dei pochi davvero rimasti fuori da Mani Pulite. Come ultimo segretario della Balena Bianca, è stato fin troppo dignitoso e serio. Non ha, coerentemente, messo il partito in gioco nel bipolarismo, di qua o di là. Lo ha lasciato al centro e gli elettori lo hanno liquidato. E tuttavia nel chiudere l’esperienza democristiana, ha cercato di sottolineare ciò che non andava smarrito.
Alcide De Gasperi ha “vinto” nel senso che tutti oggi gli riconoscono meriti fondamentali per la storia del nostro Paese e per la duratura pace del nostro continente europeo. Ma negli anni Cinquanta fu brutalmente sconfitto da una congiura di Palazzo che lo portò ad una prematura scomparsa. Anche Mino Martinazzoli ha in qualche modo “vinto” storicamente a giudicare dai commenti positivi che popolano in queste ore gli organi di stampa e i siti d’informazione. E tuttavia ci ha lasciati con l’immagine di un uomo politico il cui disegno era stato sconfitto.
Ma non ci si può rassegnare a questa logica. Anche la politica di oggi avrebbe bisogno di nuovi Martinazzoli, cattolici veri, capaci di sporcarsi le mani e allo stesso tempo coscienti che non è lo Stato, né l’ideologia, né la legge che salva l’uomo. Uomini moderati in senso profondo, perché attenti all’interlocutore, curiosi di ogni posizione e allo stesso tempo leali con i principi liberali e costituzionali alla base del nostro ordinamento. Avvocato, e più volte ministro, Martinazzoli non era un azzeccagarbugli. Da cattolico democratico e da cattolico liberale difendeva la Costituzione e giudicava la vita politica italiana degli ultimi anni imbarbarita e svuotata di idee e di ideali. Se n’è andato proprio in un momento in cui molti pensano che la Seconda Repubblica non sia poi così migliore della Prima, come si era sperato all’inizio.