Beppe Grillo ha pubblicato sul suo sito un articolo di Michael Moore che inneggia alla vittoria di Barack Obama. L’articolo è intelligente e divertente. Ma la domanda è: che c’entra Beppe Grillo con Obama? Niente. Anzi.
Per spiegarci facciamo un passo indietro. Che cosa significa la vittoria di Obama per noi, per gli italiani? Sicuramente tante cose. Ma principalmente due. La prima: la crisi economica negli Stati Uniti è in fase calante, riprendono l’industria e l’immobiliare e tutto grazie alla politica economica, monetaria del presidente democratico, che ha immesso un fiume di dollari pubblici sul mercato. E’ la “risalita” cantata da Bruce Springsteen. L’America torna a crescere e vuole essere migliore. Il mondo può tornare a sperare di crescere ed essere migliore. In Europa su questa linea sono Mario Draghi soprattutto, e poi il nostro Mario Monti, il francese François Hollande, l’inglese David Cameron. Contraria la tedesca Angela Merkel.
La seconda: Obama ha sconfitto l’antipolitica. Una grande partita in questo passaggio storico è infatti quello che anche oltreoceano è molto chiaramente identificabile come un rifiuto, un allontanamento dalla vita pubblica, dal voto, dalla classe dirigente. Per dirla col grande sociologo Zigmunt Bauman, cinque anni di crisi avevano dato l’impressione a tutti noi che il potere stesse da una parte e la politica dall’altra. Obama ha sconfitto questo sentimento, prima di tutto psico-sociale, portando alle urne i cittadini in una misura inaspettata. Al punto che si sono formate le code ai seggi di tutta l’America. Wall Street, i poteri forti hanno votato Romney, puntando sulla disaffezione, gli operai delle industrie dell’Ohio, i neri, gli ispanici, gli immigrati hanno votato Obama, in massa.
Il risultato complessivo è un’iniezione di fiducia nella nostra convivenza democratica contemporanea. Fiducia in una crescita economica ormai imminente (in Italia ci vorranno forse ancora due anni) e in una visione dell’Europa e del mondo, più vicina alla nostra che a quella tedesca. Così passeranno alla cronaca, se non alla storia, queste elezioni americane del 2012.
Come tutto questo possa favorire il pur legittimo tentativo di alternativa radicale del Movimento 5 Stelle e di Grillo ci risulta molto molto oscuro. Grillo è figlio della crisi economica e della crisi politica. Una ripresa, una risalita obamiana semmai spinge per mantenere Mario Monti a Palazzo Chigi.
Forward Obama, Forward Monti, Forward Draghi. Per dirla con una battuta. La vittoria democratica americana non favorisce, ovviamente, il ritorno del Centro destra (Berlusconi e Pdl appartengono ormai al passato, contro il quale si rischia peraltro spesso di essere ingiusti) ma anche riduce le speranze dell’oltranzismo tutto a sinistra di Bersani-Vendola.
Semmai se c’è uno che si pone come Obama italiano, con una qualche ragione, è Matteo Renzi. Se Obama dovesse avere un fiduciario italiano dopo Draghi e Monti, sarebbe certo il sindaco di Firenze. Mica altri. Beppe Grillo, l’ho già scritto qui ma mi sembra sempre più evidente, è come lo spread. E’ quel fattore che spinge tutti gli altri a trovare un accordo per far ripartire il Paese sulle coordinate giuste.
Ma dall’opposizione, dalla protesta, dal non voto. Dall’antipolitica. Obama è invece il ritorno, aggiornato e per così dire purificato, di un modello di guida politica forte. E’ il ritorno del mito americano.