Il killer di Tolosa ha probabilmente registrato con una telecamera il misfatto di cui si è reso responsabile. La notizia, filtrata ieri, aumenta il nostro disagio e la sensazione di trovarci di fronte a un soggetto isolato, probabilmente psicopatico, piuttosto che ad un’organizzazione. Il rabbino e i tre bambini uccisi di fronte alla scuola ebraica in Francia sono stati colpiti per la loro religione, per il simbolo che rappresentano, per la loro, diciamo, funzione altamente simbolica. Nella cultura delle comunità ebraiche la scuola è infatti un centro importantissimo, la yeshivà del mondo yiddish tanto diffuso in America, il luogo dove il giovane ebreo diventa adulto, impara a leggere il Talmud, ed a  disputare con il suo rabbino su ogni argomento. Chiunque abbia letto i meravigliosi libri di Isaac Singer o di Chaim Potok  sa benissimo a che cosa mi riferisco. E d’altra parte è sempre così, in stragi terroristiche come queste. Per il killer l’oggetto della sua violenza assassina cessa di essere un uomo e diventa schematicamente, ideologicamente, a volte paranoicamente una maschera, una divisa, un ruolo. La persona è cancellata prima, prima dell’atto di uccisione, nella mente dell’assassino.



E tuttavia l’episodio di Tolosa ricorda, davvero da vicino, quello norvegese dell’isola di Utoya dove il giovane estremista di destra 22 luglio scorso uccise 77 persone. O il più recente (era il 13 dicembre) episodio di Firenze, quando un giovane, che poi si è suicidato, ha sparato contro alcuni venditori ambulanti senegalesi in piazza, colpendone a morte due. C’è un virus che gira per l’Europa e che colpisce le singole menti, magari malate, sicuramente isolate nella loro follia, e che però rischia di essere contagioso in modo molto rischioso. È la malattia dell’intolleranza xenofoba, razzista, nazista che degenera in violenza. È un prezzo altissimo che paghiamo oggi alla più massiccia integrazione fra popoli che la storia ricordi. Ma paghiamo anche il non aver fatto i conti con la storia, con l’orrore antisemita di comunismo, fascismo e nazismo. E’ un passato che non vuole passare, che la nostra società leggera dell’informazione e dello “smart phone” non riesce a mettersi alle spalle.



Dobbiamo uscire dal politicamente corretto (percepito spesso come sdolcinato e ipocrita) e cercare invece di spiegare alle giovani generazioni che cosa è stato Auschwitz e quanto invece debba tutta la civiltà occidentale ai nostri “fratelli maggiori”, gli ebrei, che sono stati all’origine del nostro modello di convivenza. 

Ma forse è anche necessario chiedersi perché nella nostra società permissiva ci siano tanti singoli episodi di solitudine paranoica, soprattutto giovanile, che a volte sfocia in un’imprevedibile aggressività. La rete sociale ha maglie troppo larghe, la solidarietà fatica a cogliere in tempo disagi e segnali di allarme. Un giorno bisognerà cominciare a mettere in tema questo sfaldamento che diventa deriva etica. 



E comunque oggi dobbiamo ridirci “mai più”. Mai più dovere commentare una strage davanti ad una scuola, una sinagoga, un quartiere ebraici. In Europa e in Medio Oriente. Mai più.